Nero come il cielo, prima che la luce fu. Nero come il giorno in cui te ne sei andata tu. Come la bibbia nero, come quello che non spero. Nero come il velo della vedova. Nero come il lutto della mantide. Nero come la malinconia. Nero come il disco dell’eclisse, come il profeta dell’apocalisse, nero come un gatto nella notte. Nero come perdere la vista, nero come la giornata trista. Il nero è il colore fecondo che genera tutti gli altri, così come la notte è origine di ogni cosa creata. Veniamo dal nero buio, e qualche volta ci torniamo quando si spegne la luce, com’è accaduto all’improvviso nell’intera penisola iberica. Da tempo la luce non è più solo quella del sole, ma l’energia che scorre nei fili elettrici. Dunque rimanere al buio del blackout significa treni che si fermano, ascensori che si bloccano, smartphone che si oscurano. Tuttavia, pur in questa eclisse tutta antropocentrica, veniamo colti dall’antico, sacro terrore della tenebra, che ci avvolge e ci ricorda di non essere del tutto rassicurati, ci ricorda che Nyx, dea della notte, è figlia del Caos, del vuoto primordiale. Che la sua dimora si trova in una caverna all’estremo limite occidentale del mondo, da dove, per il riscaldamento terracqueo o per un collasso casuale o doloso, può uscire anche di giorno e oscurare il cielo percorrendolo, di nero vestita, lasciandoci piccoli e inermi nella bolla di mondo che ci siamo costruiti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1612 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati