Capiamo davvero la portata di quello che Donald Trump sta infliggendo al mondo intero? Il modo di fare degli Stati Uniti non ha solo una forma più brutale del classico approccio dello zio Sam, il gendarme del mondo che si prendeva qualche libertà con le regole del gioco internazionali. No, oggi Washington sta direttamente cambiando le regole, sostituendole con un’unica massima: tutto quello che va bene per Trump deve andare bene anche per tutti gli altri.
Partiamo dal modo imprevedibile con cui il presidente tratta i conflitti attuali, dall’Ucraina al Medio Oriente: un giorno interrompe la consegna di armi a Kiev e l’indomani rimprovera Vladimir Putin, prima bombarda l’Iran e poi non si preoccupa di mettere a punto una strategia per il dopo che non sia quella del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Guerre a parte, ci sono anche altre decisioni altrettanto significative, anche se meno drammatiche. Trump, per esempio, minaccia dazi del 50 per cento al Brasile, non per ragioni commerciali ma puramente ideologiche. Le tasse sono infatti una rappresaglia per il processo contro Jair Bolsonaro, ex presidente accusato di aver spinto i suoi sostenitori a prendere d’assalto gli edifici istituzionali di Brasilia dopo essersi rifiutato di riconoscere la sconfitta elettorale. Vi ricorda qualcosa? Non è un caso che Bolsonaro sia soprannominato il Trump tropicale.
L’ingerenza trumpiana nella vita politica del più grande paese dell’America Latina è sconvolgente e ci ricorda che l’attuale amministrazione ha un’agenda politica precisa e aggressiva, come aveva dichiarato il vicepresidente JD Vance a Monaco.
Con lo stesso spirito Trump intende imporre ulteriori dazi del 10 per cento a tutti i paesi che partecipano alle riunioni dei Brics, il club dei paesi emergenti guidati dalla Cina. Poco importa che i Brics non formino un’alleanza coerente: India e Brasile sono democrazie imperfette, la Cina è un paese comunista e l’Arabia Saudita, appena entrata nel gruppo, è una monarchia autoritaria. Inoltre, ne fanno parte alcuni alleati degli Stati Uniti, come l’India o l’Arabia Saudita, nel rispetto di un nuovo mondo segnato dal multi-allineamento, come prevede la dottrina indiana. Trump non ha tempo da perdere con queste sottigliezze: 10 per cento di dazi in più per chiunque accarezzi l’idea di un equilibrio mondiale alternativo. Anche in questo caso, le ragioni sono squisitamente ideologiche.
Il terzo esempio di questa deriva è dato dalla foto che ritrae Trump insieme a cinque capi di stato africani, che ha provocato forti reazioni nel continente. Il presidente statunitense è seduto nello studio ovale, mentre i leader africani sono in piedi, dietro di lui, come semplici collaboratori. Qualche istante prima, Trump si era complimentato con il presidente della Liberia per il suo ottimo inglese, ignorando evidentemente che l’inglese è la lingua ufficiale del paese fondato dagli ex schiavi tornati dagli Stati Uniti.
Per non farsi mancare nulla, Trump ha anche elogiato una giornalista che aveva chiesto ai leader africani se intendevano sostenere la candidatura del presidente statunitense al premio Nobel per la pace alla luce dell’accordo firmato sotto i suoi auspici tra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo.
Non si tratta (solo) di facile ironia o di indignazione, ma di capire quello che ci sta capitando, e con “ci” intendo noi, il resto del mondo che subisce questo cambiamento di paradigma, a cominciare dall’Europa, continente che deve tanto agli Stati Uniti (a partire dalla sua sicurezza negli ultimi decenni) e che oggi si vede maltrattata dal suo presunto protettore.
I paesi dell’Unione lo sanno benissimo: oggi l’Europa non ha i mezzi per opporsi a Washington, perché la maggior parte dei leader del vecchio continente non vuole correre il rischio di perdere la protezione statunitense in un momento in cui il mondo torna a farsi molto pericoloso. Ma allo stesso tempo gli europei capiscono che Trump rispetta solo i rapporti di forza e che lo spettacolo della sottomissione, come quello andato in scena all’ultimo vertice della Nato all’Aja, nei Paesi Bassi, non farà altro che aumentare il suo disprezzo per gli alleati.
Al momento gli europei non sono ancora riusciti a trovare un equilibrio efficace tra la resistenza ai diktat della Casa Bianca e l’accondiscendenza per salvare il salvabile di un’alleanza cruciale. Riuscirci dovrebbe essere una priorità assoluta, soprattutto alla luce di questi ultimi sei mesi traumatici.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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