Mancano meno di tre settimane alla data fatidica del 22 settembre, quando la Francia annuncerà il riconoscimento ufficiale dello stato di Palestina. Lo farà nella sede delle Nazioni Unite a New York, dove Emmanuel Macron co-presiederà una conferenza sulla soluzione dei “due stati” insieme al principe ereditario saudita Mohamed bin Salman.

Mentre la scadenza si avvicina cresce la tensione, sia tra Israele e la Francia sia sulla scena diplomatica mondiale, che fa da cassa di risonanza della guerra nella Striscia di Gaza, dove si registra l’ennesima escalation dell’offensiva israeliana.

Il ministro degli esteri israeliano Gideon Saar ha accusato Macron di voler “minare la stabilità” del Medio Oriente con le sue azioni “pericolose”. Il governo di Tel Aviv studia possibili ritorsioni, dalla chiusura del consolato generale di Francia a Gerusalemme all’annessione della Cisgiordania o di una sua parte. Anche se altri paesi hanno annunciato l’intenzione di riconoscere la Palestina, gli attacchi israeliani si concentrano principalmente su Parigi, a causa del suo ruolo di rilievo nella vicenda e dello status di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Anche ai peggiori avversari

I segni della tensione generale sono numerosi. Gli Stati Uniti, fermamente dalla parte di Israele, hanno rifiutato il visto al presidente palestinese Mahmud Abbas e alla delegazione che doveva partecipare all’assemblea generale dell’Onu. Di solito viene concesso anche ai peggiori avversari degli Stati Uniti, in ragione dello status internazionale delle Nazioni Unite a Manhattan. Perfino Yasser Arafat, all’epoca in cui era considerato un terrorista a Washington, aveva potuto prendere la parola davanti all’assemblea. La decisione di Washington ha sconvolto anche gli amici sauditi di Trump.

La minaccia alla Cisgiordania del governo israeliano ha spinto a un avvertimento gli Emirati Arabi Uniti (uno dei paesi firmatari dei cosiddetti accordi di Abramo con Israele) secondo cui l’annessione rappresenta “una linea rossa”, un limite da non toccare. Finora Abu Dhabi aveva mantenuto una certa discrezione davanti alla ferocia della guerra israeliana a Gaza.

Chi sosteneva che la decisione francese di riconoscere lo stato palestinese non avesse alcuna importanza si sbagliava. Le reazioni dimostrano che questa iniziativa, per quanto simbolica, ha un peso determinante in un momento decisivo.

Il fatto che paesi occidentali come la Francia, il Regno Unito (che deve ancora confermare la sua decisione), il Belgio o l’Australia compiano questo passo evidenzia l’illegittimità di qualsiasi piano per cacciare i palestinesi dalla Striscia di Gaza. Un documento di lavoro reso pubblico alcuni giorni fa dai giornali statunitensi ha rivelato che l’amministrazione Trump continua a valutare l’idea di cacciare gli abitanti di Gaza, un crimine di guerra in base al diritto internazionale.

Oggi in Israele è in carica un governo dalle forti spinte messianiche che intravede un’opportunità storica per creare il “Grande Israele”, un concetto a cui ha fatto riferimento anche Benjamin Netanyahu il mese scorso. Per questo è impegnato a delegittimare chiunque si opponga ai suoi piani, trattandolo per esempio da complice di Hamas nonostante la Francia e i suoi partner arabi abbiano chiaramente escluso l’organizzazione islamista dai piani per il dopoguerra a Gaza. Fino al 22 settembre possiamo aspettarci che la pressione e le manovre di Israele si moltiplicheranno, in proporzione alla posta in gioco.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it