Se attraversate una strada a Santa Cruz, la città più grande della Bolivia, all’improvviso potreste incontrare persone bionde, alte un metro e ottanta e con la carnagione chiara. Sono i mennoniti, parte di un movimento cristiano molto unito. Si spostano dalle loro aziende agricole in posti remoti per comprare semi, fertilizzanti e ricambi per i trattori. Ma anche per comprare un giornale, Die Mennonitische Post. “Non capisco una parola di quello che c’è scritto”, ammette un cassiere locale. “Ma ne vendiamo molte copie”.

Die Mennonitische Post – o più semplicemente il Post – è un giornale unico, scritto da mennoniti per mennoniti. È stampato in Canada, in tedesco, ed è distribuito in tutte le Americhe. A differenza di altre testate, non ha avuto nessuna flessione delle vendite nonostante sia solo cartaceo, grazie alla preferenza dei suoi lettori per i formati tradizionali. Per alcuni mennoniti, dal Belize alla Bolivia, il Post rappresenta l’unico legame con il mondo esterno. Per chi non appartiene alla comunità, è una finestra su una diaspora agricola prospera.

Il movimento è nato in Europa dopo la riforma protestante nel sedicesimo secolo. Il nome è un omaggio al sacerdote olandese Menno Simons, che predicava la necessità di allontanarsi da un mondo malvagio. Da allora i mennoniti si sono spostati ovunque alla ricerca di governi tolleranti e terre da coltivare. Nel novecento si sono diffusi nelle Americhe: oggi sono circa cinquecentomila, parlano il basso-tedesco e gestiscono “colonie” lontane dai centri abitati. Il Post fu fondato nel 1977 per offrire ai mennoniti un modo per comunicare tra loro. È pubblicato due volte al mese e venduto in quasi tutte le colonie, spiega Kennert Giesbrecht, che ha diretto il giornale per quasi 22 anni.

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Le colonie mennonite sono diverse dal punto di vista del rigore teologico, ma ci sono elementi comuni. Ogni colonia ha una chiesa e una scuola, possiede i terreni ma ne vende alcuni lotti ai componenti della comunità. La vita gira intorno all’agricoltura: le persone sono tassate in base alla dimensione del terreno coltivato e ai litri di latte venduto. Le colonie sono gestite da una leadership eletta dai proprietari terrieri, ma tutti rispondono al vescovo, eletto dai pastori all’interno dei propri ranghi attraverso una votazione o un sorteggio. Secondo Yann le Polain della McGill university di Montréal, in America Latina esistono circa duecento colonie che controllano almeno 3,9 milioni di ettari, un’area più grande dei Paesi Bassi.

Sia Giesbrecht sia l’attuale direttore del Post vengono dalle gigantesche colonie del Paraguay, dove i mennoniti rappresentano meno dell’1 per cento della popolazione ma sono proprietari dell’8 per cento delle terre. Le loro colonie sono centri d’imprenditoria agroalimentare, con impianti per la produzione di formaggio e la lavorazione della carne.

Queste colonie “progressiste” sono collegate al mondo esterno. I loro abitanti partecipano alla politica e offrono consulenze agli investitori stranieri, ma di solito non sono lettori affezionati del Post. “Le colonie progressiste hanno internet e case editrici che stampano giornali e libri”, conferma Giesbrecht. “Quelli che si affidano realmente al Post sono i conservatori”.

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La Bolivia è il cuore del movimento mennonita conservatore. Visitare una colonia è come viaggiare indietro nel tempo: i trasporti si limitano alle carrozze trainate da cavalli e ogni casa di mattoni è adiacente a una lunga striscia di terreno coltivato. La tecnologia, compresi gli smartphone, è quasi assente. Le persone completano il percorso di studi a 13 anni, e in alcune case l’unico libro presente è la Bibbia. Per i mennoniti di queste colonie il Post è l’unico strumento di contatto con il mondo esterno. Per questo è scritto con un linguaggio semplice, spiega Giesbrecht. Alcuni usano il giornale per imparare a leggere.

Il Post riporta notizie dalle colonie, ma quasi metà delle pagine è dedicata alle lettere. Alcune, scritte a mano, impiegano del tempo per raggiungere la redazione. In un numero di agosto è stata pubblicata una lettera che arrivava da una colonia dell’Amazzonia peruviana a venti ore di navigazione dal centro abitato più vicino. Un’altra lettera era stata inviata dall’Angola, dove di recente è stata creata la prima colonia mennonita africana. Chi l’ha inviata ha inserito nella sua lettera un salmo come spunto di riflessione, dettagli sul clima e il raccolto, e annotazioni sui costumi locali, come la passione per un certo tipo di verme.

Giesbrecht sottolinea scherzando che probabilmente il Post è uno dei pochi giornali stampati al mondo ad avere una base solida di lettori. Nel 2002, quando assunse la direzione, il giornale aveva una tiratura di cinquemila copie. Oggi è di diecimila. La demografia dei mennoniti aiuta, dato che una coppia mennonita conservatrice può arrivare ad avere anche otto figli. I mennoniti andranno avanti, si moltiplicheranno e continueranno a comprare un giornale cartaceo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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