Sanae Takaichi, la “Margaret Thatcher giapponese” eletta leader del Partito liberaldemocratico (Pld) il 4 ottobre, sembra destinata a diventare prima ministra e gli analisti politici preparano i popcorn. Mentre l’ordine mondiale è destabilizzato dalla guerra commerciale di Donald Trump e dal crescente dominio della Cina, l’entrata in scena di una leader giapponese volitiva e conservatrice, tra l’altro la prima donna a ricoprire questo ruolo, rappresenta un bel jolly. Takaichi, 64 anni, di recente ha parlato della possibilità di rinegoziare l’accordo sui dazi siglato dal premier uscente Shigeru Ishiba con il presidente statunitense. Critica nei confronti della Cina, fa regolarmente visita al santuario Yasukuni di Tokyo, dedicato ai caduti del secondo conflitto mondiale, inclusi criminali di guerra. Inoltre il traguardo di essere la prima donna alla guida del Giappone non è raggiunto da una femminista progressista. Takaichi si definisce “lady di ferro” e si oppone all’uso di cognomi diversi nelle coppie sposate, richiesta che le donne giapponesi avanzano da anni. È contraria anche alla modifica della legge salica per permettere a una donna di accedere al trono del crisantemo, nonostante in passato il Giappone abbia avuto delle imperatrici. Si oppone inoltre al matrimonio omosessuale. È vero che Takaichi ha promesso di ridurre il divario di genere in Giappone e di nominare nel suo governo un numero di donne sufficiente a portare Tokyo al livello dei paesi nordeuropei. Ma cose simili le avevamo già sentite anche dal suo mentore politico, Shinzō Abe. Nel dicembre 2012 Abe aveva riportato il Pld al governo con un piano ambizioso per rivitalizzare un’economia invecchiata e poco competitiva. Uno dei pilastri principali della cosiddetta Abenomics era l’emancipazione femminile in un paese di 125 milioni di abitanti, con l’obiettivo di creare una “società in cui tutte le donne possano brillare”. Quello fu un momento di grande ottimismo per le giapponesi.
Da anni economiste come Kathy Matsui, ex dirigente della Goldman Sachs, sostengono che i paesi e le aziende che sanno valorizzare la forza lavoro femminile sono i più dinamici, efficienti e ricchi. Nel 2012 e 2013 uno dei motivi per cui molti investitori puntavano sulle aziende comprese nell’indice Nikkei 225 era proprio l’attesa della presunta “ondata femminile” . Purtroppo l’adesione del Pld alla cosiddetta womenomics si è rivelata solo uno specchietto per le allodole. Nel 2012 il Giappone si classificava al 101º posto nell’indice della parità di genere del Forum economico mondiale. Oggi è sceso al 118º posto su un totale di 148 paesi. Quanto alla presenza femminile in politica, è 18 posizioni più in basso dell’Arabia Saudita.
Presto, comunque, l’attenzione tornerà a concentrarsi sul rallentamento dell’economia che secondo le stime di Tokyo crescerà al massimo dello 0,7 per cento nell’anno fiscale in corso. Ad agosto il tasso di disoccupazione è salito al 2,6 per cento, il più alto degli ultimi tredici mesi. Secondo Stefan Angrick, capo economista per il Giappone dell’agenzia Moody’s analytics, i dati sull’occupazione nel paese sono stati altalenanti dopo la pandemia, ma la tendenza generale non sembra in ripresa e il numero di nuove offerte di lavoro è in calo. “È improbabile che la situazione migliori”, osserva Angrick. “Un’economia debole, i dazi statunitensi e l’incertezza politica interna e all’estero continueranno a pesare su occupazione e salari. L’accordo commerciale tra Stati Uniti e Giappone siglato a luglio fissa un’aliquota tariffaria del 15 per cento che causerà una riduzione stimata del pil di almeno lo 0,5 per cento. E manca una sufficiente domanda interna per compensare il deterioramento della congiuntura economica internazionale”. A peggiorare le cose, continua Angrick, c’è il fatto che “l’inflazione sta erodendo gli aumenti salariali, mantenendo deboli i consumi e la crescita economica complessiva”.
In altre parole, Takaichi avrà un percorso in salita una volta entrata in carica, con la Cina che esporta deflazione e con i piani di Trump sui dazi, ancora imprevedibili. Intanto nemmeno il mercato obbligazionario giapponese naviga in buone acque. L’eredità della Abenomics raccolta da Takaichi lascia prevedere un aumento del debito pubblico per finanziare le politiche di stimolo fiscale aggressive, come quelle che in passato hanno reso il Giappone il più indebitato tra i paesi sviluppati. E c’è chi prevede anche tagli alle imposte. Poiché il Pld non controlla nessuna delle due camere del parlamento, Takaichi dovrà convincere i partiti d’opposizione a formare una coalizione, magari promettendo di ridurre l’imposta sui consumi e altre tasse, aumentando così il debito pubblico, già pari al 260 per cento del pil.
◆ Per la prima volta in 26 anni di alleanza con il Partito liberaldemocratico (Pld), il Komeito (braccio politico del gruppo laico buddista Soka Gakkai) non ha dato subito il suo sostegno alla nuova leader del Pld, Sanae Takaichi. Molti dei milioni di membri del gruppo hanno infatti riserve sulle posizioni più estremiste di Takaichi. Non aiuta il fatto che tra i dirigenti del partito oggi nessuno ha legami con il Komeito. Il sostegno della forza centrista e pacifista alla candidata premier in parlamento non è quindi scontato. The Japan Times
L’altra grande incognita riguarda l’incontro tra Takaichi e Trump. All’inizio di settembre si era detta scontenta dell’accordo sui dazi appena siglato da Ishiba. Non tanto per l’aliquota del 15 per cento, quanto per il “bonus” richiesto da Trump (Tokyo si è impegnata a investire negli Stati Uniti 550 miliardi di dollari in settori e in affari indicati da Washington e gli eventuali guadagni rimarranno al 90 per cento nel paese).
L’arte dell’adulazione
Solo il tempo dirà se Takaichi intende davvero scontrarsi con Trump. Se seguirà Abe, i due andranno d’accordissimo. Abe aveva perfezionato, più di ogni altro leader, l’arte di conquistare le simpatie di Trump con l’adulazione, addirittura proponendolo per il Nobel per la pace. Alla fine, però, ha ottenuto poco in cambio. Trump si è comunque ritirato dal Partenariato transpacifico (Tpp), il trattato commerciale al centro degli sforzi di Tokyo per contenere la Cina. E non ha concesso alcuna deroga al Giappone sui dazi. Takaichi avrà quindi un bel da fare per costruire un rapporto di lavoro con il leader statunitense, che sembra voler estorcere al Giappone l’equivalente del pil annuale dell’Irlanda. E gli osservatori si preparano per lo spettacolo. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati