L’impressionante parata militare sul viale della “pace eterna” di Pechino celebra l’ottantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale in Asia, ma costituisce soprattutto una dimostrazione di forza sullo sfondo della rivalità tra Cina e Stati Uniti. La presenza dei leader di Russia, Corea del Nord e Iran al fianco del presidente cinese Xi Jinping contribuisce a dare un tono anti-occidentale all’evento.

Il fatto che il Partito comunista cinese ricordi la vittoria sul Giappone nella seconda guerra mondiale è però paradossale, perché ad aiutare di più la Cina contro l’esercito giapponese furono gli Stati Uniti. Alla fine del conflitto gli statunitensi stabilirono perfino buoni rapporti con Mao Zedong: una missione americana gli fece visita nel suo quartier generale di Yan’an e giudicò il leader comunista più affidabile e meno corrotto del suo rivale nazionalista Chiang Kai-shek.

Tuttavia secondo il sinologo statunitense Richard Bernstein “il 1945 ha segnato di fatto l’origine della rivalità tra gli Stati Uniti e i comunisti cinesi, una rivalità che continua a svilupparsi come una malattia ricorrente”.

La maggior parte degli storici affidabili concorda sul fatto che nello scontro contro i giapponesi durante la seconda guerra mondiale i comunisti risparmiarono le forze, mandando avanti l’esercito nazionalista di Chiang Kai-shek. Si stavano già preparando al combattimento successivo: la guerra civile che seguì poi alla capitolazione del Giappone e si concluse con la vittoria dei comunisti e la proclamazione della Repubblica popolare, il primo ottobre 1949.

Mao aveva promesso agli statunitensi di non riprendere la guerra contro i nazionalisti, ma nel suo libro dedicato all’argomento e intitolato China 1945 (2015), Bernstein sottolinea che la rottura era inevitabile nonostante le speranze di Washington, e lasciò dietro di sé scorie pesanti. La guerra fredda e la guerra di Corea portarono a un’opposizione brutale tra Stati Uniti e Cina.

Questa sequenza storica è importante ancora oggi, perché è nel 1945 che Taiwan, colonia giapponese per cinquant’anni, fu integrata nella Repubblica di Cina, come si chiamava allora. E fu proprio a Taiwan che si rifugiò Chiang Kai-shek con il suo esercito nel 1949.

In cerca di legittimità

Come scrive il ricercatore francese Victor Louzon nel suo libro Comment la Chine écrit son histoire (2025), “l’interpretazione della storia è sempre stata una questione fondamentale per il governo cinese”. Pochi giorni prima della parata il Quotidiano del popolo di Pechino metteva in guardia contro i “nichilisti” interni e gli occidentali che cercano di minimizzare il ruolo comunista nella guerra contro il Giappone.

La vittoria sul Giappone è talmente importante da aver generato una narrazione specifica, in cui questo evento dà legittimità storica all’affermazione attuale della potenza cinese davanti a una nuova minaccia, quella degli Stati Uniti. Per questo bisogna assegnare al Partito comunista cinese un ruolo centrale nella storia.

È una strumentalizzazione molto simile al modo in cui Vladimir Putin usa la memoria della “grande guerra patriottica” per giustificare l’invasione dell’Ucraina. E facendo eco alle parole di Putin, pochi giorni fa la Cina ha accusato Taiwan di essere governata da… nazisti!

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it