Donald Trump annuncia ogni giorno dazi punitivi, poi esenzioni settoriali, celebra accordi subito messi in discussione. Sembra impossibile stimare l’effetto dei dazi, perché bisognerebbe sapere come si muovono su tutti gli altri paesi e sui vari settori. In uno studio Daniel Gros, direttore dell’Institute for european policymaking dell’università Bocconi, suggerisce un metodo alternativo: si prendono i ricavi delle dogane statunitensi da un certo paese e si dividono per il valore delle merci entrate da quel paese, ottenendo il dazio effettivo medio. Ma non tutti i prodotti sono tassati, quindi bisogna dividere i ricavi dai dazi per il valore delle merci soggette a dazio. Prima dell’accordo di agosto, il dazio medio effettivo sui prodotti dell’Unione europea (Ue) era dell’8 per cento, ma circa il 40 per cento delle importazioni non era tassato. Se prendiamo il Canada e il Messico, due dei bersagli principali di Trump, il dazio medio è rispettivamente del 29 e 24 per cento. Ma in concreto solo il 2 per cento delle merci canadesi e il 4 di quelle messicane sono tassate. Le esportazioni dell’Unione negli Stati Uniti non sono danneggiate, sia perché sono meno colpite, sia perché i concorrenti hanno dazi più alti. Insomma, i dazi di Trump fanno disastri politici, ma per ora il loro effetto economico è limitato. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 101. Compra questo numero | Abbonati