Da mesi si parla di bolle finanziarie e del rischio che a un certo punto la loro esplosione faccia crollare tutto, complice il terremoto provocato nel commercio mondiale dai dazi protezionisti di Donald Trump e il pesante indebitamento di molti governi. Ma già prima che si sgonfino è possibile osservare i loro effetti deleteri. Prendiamo il caso della principale economia mondiale. I dati provenienti dagli Stati Uniti parlano di un paese che continua a crescere: nel terzo trimestre del 2025 il pil nazionale dovrebbe aumentare del 3,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, confermando l’andamento registrato nel secondo trimestre. Quindi siamo davanti a inutili allarmismi o dietro la facciata rassicurante si nasconde un pericolo?

Una risposta arriva dal Financial Times, secondo il quale in questo momento l’economia statunitense “sta sfidando la forza di gravità”. Nel paese c’è un economia divisa in due fasce: da un lato ci sono le famiglie ricche, che possono permettersi di spendere grazie agli introiti assicurati dalla borsa; dall’altro ci sono le famiglie più povere, che invece stanno già pagando care le politiche di Trump, visto che i dazi stanno facendo salire i prezzi di molti beni ed erodendo il potere d’acquisto dei loro salari.

Le bolle non si limitano a far lievitare gli investimenti, ma sostengono i consumi mentre promettono un futuro di crescita, benessere e stipendi alti per tutti. Secondo uno studio dell’agenzia di rating Moody’s, il 10 per cento più ricco della popolazione statunitense contribuisce a circa la metà dei consumi nazionali. Ne approfittano soprattutto le aziende che offrono beni e servizi di lusso. La Delta Air Lines prevede che la vendita di prodotti di fascia alta, come i biglietti per voli in prima classe, supererà quella dei biglietti per la classe economica. Nonostante i pesanti dazi di Trump, le vendite del fuoristrada G-Wagon della Mercedes-Benz, una vettura che ha prezzi a partire dai 148mila dollari, sono aumentate del 41 per cento.

Intanto però molte aziende non licenziano ma assumono poco. Jerome Powell, il presidente della Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti) parla di un’economia low hire, low fire, anche perché oggi negli Stati Uniti trovare manodopera è più difficile a causa della feroce repressione dell’immigrazione scatenata da Trump. I salari cominciano a ristagnare: secondo uno studio della Fed di Atlanta, ad agosto il 25 per cento più povero dei lavoratori statunitensi ha ottenuto un aumento medio del salario pari al 3,6 per cento, contro il 4,6 per cento andato a chi guadagna di più. In quel mese la crescita media dei prezzi al consumo si è attestata intorno al 3 per cento. E le prospettive dei più poveri sono destinate a peggiorare con gli effetti della legge finanziaria fatta approvare da Trump a luglio: i tagli alle tasse previsti faranno diventare più ricchi i ricchi, a spese dei più poveri. La legge infatti introduce tagli all’assicurazione sanitaria e ai buoni pasto.

Neanche un centesimo

Ovviamente la bolla più chiacchierata è quella dell’intelligenza artificiale, ma non è certo l’unica. In giro per il mondo ce ne sono varie. Per esempio in Cina continua a provocare danni una bolla di cui si è parlato tanto, quella del settore immobiliare: è di questi giorni la notizia che gli investitori internazionali rischiano di perdere nel paese asiatico qualcosa come 140 miliardi di dollari investiti in progetti immobiliari che al momento risultano invendibili. Ma ci sono anche bolle di cui non parla quasi nessuno. Il Wall Street Journal, per esempio, cita quella delle azioni legate al settore energetico. Qui c’è “un gruppo di aziende che non genera entrate ma il cui valore di borsa è incredibilmente lievitato a più di 145 miliardi di dollari, nella speranza che un giorno l’energia che ancora non producono venga comprata dalle aziende tecnologiche”.

Il caso più clamoroso è una startup sponsorizzata da Sam Altman, l’amministratore delegato della OpenAi: nel giro di un anno la Oklo, un’azienda che dovrebbe produrre reattori nucleari modulari (reattori più piccoli di quelli tradizionali, progettati per essere fabbricati in fabbrica come moduli standard e poi trasportati e installati in loco), ha visto crescere le sue azioni di otto volte, fino a raggiungere un valore complessivo di 26 miliardi di dollari; è l’azienda quotata cresciuta di più senza generare neanche un centesimo di entrate; non ha ancora la licenza della Nuclear regulatory commission né un qualche contratto con un cliente. Gli investitori continuano a metterci soldi in attesa che le aziende d’intelligenza artificiale decollino e abbiano bisogno delle sue tecnologie.

La bolla delle ia sta per scoppiare
Se e quando la smania d’investimento nelle intelligenze artificiali passerà, cosa ne sarà delle ultime innovazioni tecnologiche?

Ma che succede se tutte queste bolle esplodono? Prima o poi una correzione verso il basso ci sarà, visto che, secondo alcune stime, oggi le aziende d’intelligenza artificiale che non fanno utili hanno un valore complessivo di mille miliardi di dollari. La crisi potrebbe essere causata da un aumento dei tassi d’interesse, da innovazioni che fanno fare progressi inaspettati, da sistemi d’intelligenza artificiale che mettono fuori gioco quelli attuali (vedi il caso Deepseek). Per il momento tutto si tiene in piedi e molti ricordano che in fondo le bolle speculative di cui è cosparsa la storia del capitalismo hanno provocato danni ma anche i progressi più importanti: basti pensare a quella di internet esplosa intorno al 2000.

Dovrebbe succedere la stessa cosa con la mania per l’intelligenza artificiale. Ma, come spiega un’interessante analisi di Gillian Tett sul Financial Times, si potrebbe inquadrare la vicenda in un altro modo, per esempio ricorrendo al “culto del cargo”, un fenomeno descritto dagli antropologi circa cento anni fa. Questo culto ha origini nell’ottocento, racconta Tett, quando gli occidentali sbarcarono su alcune isole della Melanesia inondandole di tantissimi prodotti. In seguito le merci cominciarono ad arrivare sugli aerei, facendo nascere tra i locali la convinzione che se avessero costruito degli idoli di bambù a forma di aereo sarebbero arrivate altre merci.

L’ingegnere informatico Stephan Eberle pensa che una situazione simile possa essersi creata nel settore dell’intelligenza artificiale: “Osservando quello che succede, ho l’impressione che stiamo costruendo degli aerei di bambù aspettando che si mettano in volo”. I parallelismi sono inquietanti, scrive Eberle: “Perfetta imitazione di motivi superficiali, pensiero magico sui risultati e una confusione sistematica tra forma e funzione. Stiamo assistendo a ciò che gli antropologi avevano individuato decenni fa in Melanesia: un culto del cargo, ma questa volta nella Silicon valley”.

Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.

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