Giulia Scomazzon
8.6 gradi di separazione
Nottetempo, 168 pagine, 16,50 euro

Partiamo dalla considerazione più ovvia: la seconda prova di Scomazzon è migliore del memoir con cui l’abbiamo conosciuta. Alice, la protagonista di questo romanzo breve, è una donna alcolizzata (l’8.6 del titolo fa riferimento alla gradazione della birra che si scola al ritmo di due litri al giorno). Conosco abbastanza bene il mondo degli alcolizzati da dire che la finzione narrativa, calata nella geografia veneta familiare all’autrice, regge in maniera molto solida nel raccontare la vergogna, la razionalizzazione, il desiderio di automedicarsi o di scomparire, la semplice noia. Il lungo monologo di Alice non è lineare, somiglia quasi a una confessione a voce alta ed è costellata di digressioni interrotte e riprese. La parola toglie la maschera ad Alice e, al contrario delle capacità rigenerative che le affidiamo, non la perdona. La scrittura a tratti mi è apparsa forzatamente cruda, ma la parte più interessante della lingua nuda e clinica di 8.6 gradi di separazione è la capacità di Scomazzon di piegarla a un registro ironico che prende coraggio nel sarcasmo – nell’essere saccente – della protagonista. È una forma di protezione che non chiede empatia al lettore, piuttosto rende trasparente l’indulgenza con cui Alice abita il suo territorio dissestato, di confine. Più che un libro perfetto, questo è un romanzo che dà fastidio, che è pure più importante. ◆

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1637 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati