L e aziende che finiscono nel mirino di un’autorità di controllo si lamentano sempre del fatto che chi le affronta combatte una guerra di retroguardia. È stata questa la prima risposta di Facebook quando negli Stati Uniti la commissione federale per il commercio (Ftc) e i procuratori generali di 48 stati hanno denunciato l’azienda per aver violato le leggi sulla concorrenza. I governi stanno cercando di imporre lo scorporo di WhatsApp e Instagram, due aziende comprate anni fa da Facebook e che le hanno permesso di dominare il settore dei social network. Facebook ha etichettato l’iniziativa come “revisionismo storico”. In realtà queste azioni legali sono giuste e necessarie. Secondo il gigante di internet le acquisizioni avevano ricevuto un via libera dalle autorità. In realtà esperti come Tim Wu, professore di diritto alla Columbia university, sostengono che la Ftc non aveva “approvato” gli accordi, si era semplicemente limitata a non tentare di bloccarli.
Il caso di Facebook mostra come le autorità di regolamentazione stiano cambiando prospettiva. Stanno cominciando a vedere il mercato come fanno i giganti della Silicon valley, e non come facevano di solito gli avvocati di Washington.
La causa avviata dalle autorità di controllo statunitensi è il primo vero caso giudiziario sulla concorrenza post-neoliberista. Era una svolta necessaria
Nel 2012, quando Facebook stava acquisendo Instragram e WhatsApp, i modelli economici delle grandi aziende tecnologiche erano poco chiari alla maggior parte delle persone. I consumatori pensavano di guadagnare dei servizi gratuiti: ricerche su internet, strumenti per collegarsi con i propri amici senza pagare e così via. In realtà le loro azioni, preferenze e comunicazioni venivano sorvegliate e vendute al miglior offerente, con algoritmi che spingevano gli utenti verso i contenuti e i prodotti che le piattaforme volevano promuovere. Le autorità di regolamentazione che si occupavano di questo settore hanno commesso gravi errori. Hanno considerato i vari servizi come se appartenessero a mercati separati: i social network sui computer, la messaggistica sui telefoni e così via. Si sono concentrate sul numero dei singoli utenti raggiunti da ogni azienda invece che sulla quantità di dati che la nuova entità creata attraverso le acquisizioni poteva sfruttare. Le autorità inoltre non avevano fatto i conti con il modo in cui la pubblicità mirata può influenzare le nostre scelte. E, fatto forse più importante di tutti, non avevano capito una cosa fondamentale del mercato digitale: gli utenti pagano per i servizi con una nuova valuta – i dati personali – senza sapere esattamente cosa ci guadagna l’azienda o cosa farà con quei dati in seguito.
Come ha scritto la poeta Maya Angelou, “quando sai di più, fa’ di più”. Le autorità di regolamentazione hanno smesso di definire l’efficienza del mercato solo sulla base dei prezzi bassi per i consumatori. Hanno capito che i mercati digitali sono un campo che ammette un solo vincitore. Le grandi aziende tecnologiche coesistono felicemente con società più piccole, spesso sfruttando scappatoie legali per copiare le loro idee. Ogni tanto un concorrente come WhatsApp o Instagram diventa così potente da far scattare un effetto di rete, che gli permette di aumentare gli utenti più velocemente dei giganti esistenti. A quel punto, sostengono le autorità statunitensi, Facebook ha usato le acquisizioni per neutralizzare la concorrenza. Nella denuncia depositata si fa riferimento a una frase di Mark Zuckerberg, il quale avrebbe detto che, se fosse stato proposto “un prezzo abbastanza alto”, WhatsApp e Instagram si sarebbero convinte a vendere. Facebook avrebbe fatto un’offerta che nessun investitore poteva rifiutare. Simili acquisizioni non aumentano il prezzo per i consumatori, ma riducono la loro scelta e frenano l’innovazione. È un problema enorme.
I reclami dell’Ftc e degli stati chiariscono il tentativo di espandere la definizione di monopolio illegale. Si sono spinti oltre la concezione neoliberista secondo cui il benessere del consumatore dipende solo dal calo dei prezzi e sostengono che “il tempo, l’attenzione e i dati personali” degli utenti sono venduti in modo scorretto. Era una svolta necessaria. Il contenuto che oggi cediamo gratuitamente ha un enorme valore (basti pensare al crollo delle azioni di Facebook quando Kim Kardashian ha boicottato il social network per un giorno). Gli sviluppatori indipendenti non dovrebbero essere costretti a lavorare solo con Facebook per accedere alla sua piattaforma.
Questa azione legale contro Facebook va ben oltre la causa antitrust presentata contro Google a ottobre. È il primo vero caso giudiziario sulla concorrenza post-neoliberista. Se le autorità vinceranno, potranno cercare di rendere più semplice lo scambio di informazioni tra applicazioni diverse. I prossimi passi potrebbero essere un’autorità di supervisione e dei limiti severi all’uso dei dati. A volte anche le autorità di controllo sono all’altezza del motto di Facebook: move fast and break things, veloci e dirompenti. ◆ ff
Rana Foroohar
è una giornalista statunitense esperta di economia. Collabora con il canale televisivo Cnn ed è un’editorialista del Financial Times, il giornale che ha pubblicato questo articolo.
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Questo articolo è uscito sul numero 1389 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati