Christian Caujolle è morto il 20 ottobre 2025 a Tarbes, in Francia. Era nato il 26 febbraio 1953 a Sissonne. È stato un critico, giornalista e photo editor del quotidiano Libération. Nel 1986 ha fondato l’agenzia fotografica Vu e dal 2008 è stato direttore artistico del festival Photo Phnom Penh in Cambogia. Nel 2008 ha cominciato a collaborare con Internazionale con la rubrica Fotografia e con la sezione Portfolio.

Checkpoint Charlie, Berlino, 2014. (Diane Meyer)

Com’è possibile rendere visibile – o quanto meno percepibile – ciò che è scomparso con un’immagine? La statunitense Diane Meyer affronta la questione della relazione tra fotografia e memoria, tra presenza e assenza, che è alla base del saggio La camera chiara di Roland Barthes e che occupa un ruolo importante nella riflessione di Susan Sontag sull’immagine analogica. “Nel mio lavoro rifletto sulla natura permeabile della memoria e su come può essere destabilizzata e sostituita dalle immagini, oltre che sui modi in cui la fotografia trasforma la storia in oggetti nostalgici che ostacolano una comprensione oggettiva del passato”. È quello che la fotografa aveva sviluppato nel suo progetto Reunion ricamando i volti degli studenti ritratti in alcune foto di classe degli anni settanta.

Forest, Hohen Neuendorf, 2017. (Diane Meyer)

Nata nel 1976, Diane Meyer si è laureata in fotografia all’università di New York e presso la prestigiosa Tisch school of the arts nel 1999; in seguito ha conseguito un master in arti visive all’università della California a San Diego. Dal 2005 vive a Los Angeles. Il suo lavoro è stato esposto in numerosi musei e gallerie statunitensi come il Griffin museum of photography a Winchester, lo 18ᵗʰ street art center a Santa Monica, la Gryder gallery di New Orleans e il George museum di Rochester. Le sue foto sono state esposte anche all’estero in mostre collettive e personali. Durante una residenza d’artista a Berlino tra il 2012 e il 2013, Meyer era colpita dal fatto che il muro, abbattuto nella notte del 9 novembre 1989 segnando la fine della guerra fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, aveva circondato una parte della capitale dividendola in due.

Brandenburg gate, Berlino, 2015. (Diane Meyer)
Interrogation room of the state secret police, Hohenschönhausen, Berlino, 2014. (Diane Meyer)

Questo ha ispirato il suo progetto fotografico Berlin: “Le immagini sono state scattate sia nel centro della città sia nei dintorni, dove ho seguito l’intero tracciato del muro fino alle foreste. Ero particolarmente interessata a fotografare i luoghi in cui non rimaneva alcuna traccia visibile del muro, ma si potevano ancora scorgere dei piccoli indizi della sua presenza. C’è una pista ciclabile che segue approssimativamente il tracciato del muro che divideva e circondava la parte ovest della città, ma spesso ho dovuto lasciarla per avvicinarmi a dei posti precisi. Nei dintorni di Berlino mi ha impressionato che gran parte del muro passasse attraverso la natura: i laghi, per esempio, erano stati usati come frontiera. Non mi capacitavo che dei posti così belli potessero essere stati invasi e rovinati per un periodo tanto lungo. Mi stupiva che il muro avesse diviso in modo brutale delle strade oggi piene di vita. Allora sono andata alla ricerca di indizi sottili della sua presenza nel paesaggio: gruppi di alberi più piccoli rispetto ad altri, spazi aperti, nuove costruzioni, variazioni nell’architettura in alcuni quartieri, lampioni orientati nella direzione sbagliata. Volevo seguire tutta la sua traiettoria per vedere come aveva separato sia il centro della città sia la periferia”.

House wall area near Lichterfelde Süd, Berlino, 2017. (Diane Meyer)
Reichstag, Berlino, 2019. (Diane Meyer)

Su 43 delle centinaia di foto che Meyer ha realizzato durante il suo percorso di 160 chilometri, ha ricamato con la tecnica del punto croce la frontiera scomparsa per restituirne visivamente la grandezza. Lo ha fatto nelle zone verdi della città, nelle strade che erano state divise in due, ma anche in luoghi simbolici come il checkpoint Charlie (il più famoso dei punti di attraversamento, controllato dalle truppe statunitensi), la porta di Brandeburgo o intorno al Reichstag, dove dal 1999 risiede il parlamento federale tedesco. I fili intrecciati che attraversano la carta fotografica le danno una forte materialità. La scelta dei colori rispetta quelli del paesaggio, rendendo il ricamo al tempo stesso presente e trasparente. Attraverso l’inserimento di questo muro fantasma, il passato riemerge e la materialità di quello che è stato scompare.

Anche se le fotografie sono state realizzate su pellicola, i punti di ricamo evocano dei pixel ingranditi, quelli delle fotografie digitali, che si alterano nel corso del tempo. “Questi ricami prendono in prestito il linguaggio dell’immagine digitale in un processo analogico e tattile. In molte foto le sezioni ricamate rappresentano la scala esatta e il posto dove sorgeva il muro, offrendo una versione pixelizzata di quello che si trova dietro. Così il ricamo appare come una traccia traslucida in una parte del paesaggio che non esiste più, ma che ha il suo peso nella storia e nella nostra memoria. L’uso del ricamo stabilisce un legame tra l’oblio e il deterioramento dei file. Questo modo in cui la fotografia trasforma la nostra comprensione del passato mi interessa molto”. Crea una tensione tra quello che vediamo e quello che immaginiamo sia esistito al posto del ricamo.

Tegeler Fließ, Berlino, 2019. (Diane Meyer)

Meyer non è l’unica fotografa a intervenire manualmente sulle sue stampe. Ma se la tradizione di dipingere o di colorare l’immagine è antica, la pratica di intervenire sulle fotografie con il ricamo è più recente. Possiamo citare Carolle Bénitah, Brigitte Manoukian o Rocío Bueno, tutte fotografe che hanno in comune la volontà d’interrogare la memoria, le possibilità e i limiti della fotografia per crearla e trascriverla.

L’approccio di Diane Meyer fa riflettere sul futuro della memoria del presente. Per un secolo e mezzo la fotografia analogica ha costruito la memoria visiva ed è ormai un prezioso elemento per gli storici. Come sarà trasmessa la memoria della nostra epoca? L’intervento materiale sui negativi ci ricorda che una fotografia non è solo un’immagine, e che prima del digitale era soprattutto un oggetto con cui si veicolava un’immagine. Forse possiamo seguire la proposta di Diane Meyer e intervenire materialmente sulle fotografie che vogliamo conservare.

Da sapere
Le mostre

Alcune foto di Diane Meyer sono esposte al centro di culturale di arte contemporanea Casa Regis di Valdilana, in Italia, fino al 22 febbraio 2026 nella mostra Photography into sculpture: un omaggio e un aggiornamento, che presenta le opere di undici artisti internazionali. Altri lavori della fotografa sono esposti fino al 30 novembre 2026 al Griffin museum of photography in Massachusetts, negli Stati Uniti, nella mostra collettiva A yellow rose project, che riflette sul diritto di voto delle donne garantito negli Stati Uniti dal 19° emendamento della costituzione. Dal 21 novembre al 6 gennaio 2026 Meyer parteciperà alla mostra collettiva Small is beautiful alla Flowers gallery di Londra, nel Regno Unito. Il lavoro di Diane Meyer è rappresentato dalla galleria Sit down, di Parigi, in Francia.


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