Il 19 ottobre al largo dell’isola di Lampedusa la guardia costiera e la guardia di finanza italiane hanno soccorso 91 persone e hanno recuperato due corpi che sono stati trasportati sulla terraferma.
Quattordici persone tra quelle soccorse sono arrivate sull’isola in gravi condizioni di salute a causa dei gas di scarico respirati a bordo della barca su cui viaggiavano. Per tre di loro è stata necessaria l’intubazione e il trasferimento in ospedale.
L’intervento di soccorso è stato avviato dopo che un aereo dell’agenzia europea Frontex ha segnalato un’imbarcazione alla deriva a circa 16 miglia nautiche da Lampedusa. Durante l’ispezione sottocoperta, i guardacoste italiani hanno trovato altre persone in gravi condizioni di salute e due morti.
Lo stesso giorno l’Unicef ha dichiarato che un’altra piccola imbarcazione con a bordo 35 persone, diretta in Italia da Al Khums, in Libia, era naufragata al largo di Lampedusa.
In questo caso undici persone sono state soccorse e portate sull’isola, mentre una ventina risultano disperse. Le organizzazioni non governative hanno accusato le autorità italiane e maltesi di avere inizialmente ignorato le richieste di soccorso.
Il 18 ottobre a Roma le associazioni e le ong, guidate dall’organizzazione Refugees in Lybia che riunisce migranti transitati attraverso le carceri del paese nordafricano, hanno manifestato a pochi passi dal senato per chiedere che non sia rinnovato il memorandum d’intesa tra Roma e Tripoli. Firmato il 2 febbraio del 2017, doveva servire a ridurre gli arrivi di migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale, che all’epoca era la più usata per l’ingresso in Europa.
Se il governo non interverrà, l’intesa si rinnoverà automaticamente il 2 novembre 2025 per altri tre anni. È già stata rinnovata nel 2020 e nel 2022.
Nessuna trasparenza
Il memorandum fu firmato dall’allora presidente del consiglio Paolo Gentiloni, sostenuto dal ministro dell’interno Marco Minniti, con Fayez al Serraj, all’epoca alla guida del governo di accordo nazionale libico, che controlla la Tripolitania. Non sappiamo esattamente quanti soldi sono stati destinati a questo patto. Secondo una stima nei primi tre anni, tra il 2017 e il 2020, Roma aveva speso in Libia 784,3 milioni di euro, di cui 213,9 milioni di euro in missioni militari.
Ma non c’è nessuna trasparenza sui fondi, tanto che molte inchieste accusano il governo italiano di aver finanziato dei gruppi armati e che questi soldi siano finiti nelle mani degli stessi trafficanti e delle milizie che di fatto controllano il territorio libico. Questi gruppi sono una delle cause principali dell’instabilità del paese, a partire dalla caduta del dittatore Muammar Gheddafi nel 2011. La Libia non riconosce i diritti fondamentali né la convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e qualunque straniero nel suo territorio può essere detenuto in modo indiscriminato e arbitrario.
Il memorandum prevede: il sostegno, l’addestramento, il finanziamento della cosiddetta guardia costiera libica e dei centri di detenzione, quindi una collaborazione strutturata per il controllo della frontiera marittima. In pratica si è tradotto nella detenzione arbitraria di migliaia di persone e nel respingimento per procura di 158mila persone verso la Libia, dove torture, violenze, detenzioni e tratta di esseri umani sono state documentate dalle Nazioni Unite, dalla Corte penale internazionale e da moltissime organizzazioni indipendenti, come Amnesty international e Medici senza frontiere.
Nel marzo del 2023 la missione di inchiesta delle Nazioni Unite in Libia ha accertato che nel paese sono stati commessi crimini contro l’umanità e ha chiesto la cessazione di ogni forma di supporto ai libici.
Molte corti italiane, come la corte di cassazione, e la Corte europea dei diritti umani (Cedu), hanno stabilito che la Libia non può essere considerata un porto sicuro per lo sbarco delle persone soccorse in mare. Nonostante questo, la cooperazione dell’Italia con la Libia continua e dall’inizio del 2025 più di 20mila persone sono state intercettate dai libici e rinchiuse nei centri di detenzione.
Il 15 ottobre, però, il parlamento italiano ha bocciato due mozioni presentate dalle opposizioni, una del Partito democratico e Avs, e l’altra del Movimento 5 stelle, che chiedevano la modifica o la revoca del patto. Invece ha approvato la mozione della maggioranza di governo sul memorandum presentata da Sara Kelany, deputata e responsabile per l’immigrazione di Fratelli d’Italia, che stabilisce di volere proseguire “la strategia nazionale di contrasto ai trafficanti e di prevenzione delle partenze della Libia fondata sul memorandum del 2017”. Quindi il memorandum sarà rinnovato.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Frontiere.
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