Secondo disco da solista per Davide Ambrogio dopo il convincente Evocazioni e invocazioni del 2021 e il riconoscimento internazionale del suo lavoro da polistrumentista legato alla storia orale calabrese. S’intitola Mater nullios (esce per l’etichetta francese Viavox), è stato registrato tra i boschi – tema ricorrente nel lavoro di Ambrogio – e le grotte della Gurfa in provincia di Palermo, e manifesta subito un timbro diverso. Ambrogio si affida ai rituali tradizionali con un atteggiamento meno meravigliato rispetto all’episodio precedente. Segue la linea di una terra che si è fatta più nervosa e inospitale per un senso di difesa. E dunque, malgrado il ciclo narrativo del disco sia ispirato alle stazioni della Via crucis e alla settimana della passione di Cristo per come viene vissuta nella sua regione di appartenenza (adesione esemplificata dall’uso ricorrente del tamburo e delle troccole), il tono è più solenne che tragico, più meditato che sanguinolento. È un merito del disco e dell’artista che, pur rimanendo riconoscibile, dilata i bordi dei suoi margini e cresce ancora: nella splendida Arsa (la IV stazione) sembra di risentire il pizzicato grunge di Kurt Cobain nel suo Unplugged del 1993, a proposito di martirio e passione. Sarà un accostamento azzardato, ma rappresenta una delle chiavi per giudicare un lavoro fatto bene: l’irruzione dell’inatteso nella prevedibilità, l’apparizione della vita quando tutto è dato per morto. Con una certa pensosa sobrietà, adatta a questo momento storico così intelligibile, malgrado la sopravvivenza di certi riti. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati