S ono passati sei mesi da quando il Pakistan e l’India hanno avuto uno scontro nei cieli. Anche se fonti giornalistiche indipendenti confermano che il Pakistan ha distrutto diversi aerei indiani, New Delhi ha condotto una campagna di disinformazione per metterlo in dubbio. Il nazionalismo del governo di Narendra Modi è strettamente legato all’affermazione del suo paese come superpotenza regionale. Da qui deriva la disinformazione.
La rivalità tra l’India e il Pakistan, però, è secondaria rispetto alle tensioni più gravi tra due superpotenze: gli Stati Uniti e la Cina. In questo momento Washington è impegnata a sfidare Pechino sulla scena mondiale. Perciò l’interesse statunitense nella regione è assolutamente scollegato da qualunque narrazione politica il governo Modi cerchi di sfruttare per la sua propaganda nazionalista, ed è legato solo al ruolo della Cina.
Quando Trump si è vantato di aver fermato il conflitto tra India e Pakistan non stava solo assecondando il suo narcisismo, stava ribadendo il suo modo di concepire la presidenza
In linea con questo obiettivo, la Us-China economic and security review commission, una commissione indipendente che però fa capo alla Casa Bianca, nei giorni scorsi ha presentato un rapporto al congresso degli Stati Uniti. Il documento si occupa anche del conflitto tra India e Pakistan del maggio scorso. Con grande disappunto di New Delhi il rapporto definisce un “attacco di ribelli” l’attentato del 22 aprile a Pahalgam, nel Jammu e Kashmir, senza quindi dar credito alle affermazioni indiane secondo cui dietro c’era il Pakistan. Il rapporto riconosce inoltre che “il successo militare del Pakistan nei quattro giorni di scontri con l’India ha dato risalto all’arsenale cinese”. Questa affermazione mette nero su bianco qualcosa che il governo indiano vorrebbe comprensibilmente nascondere.
Il Pakistan non ha mai fatto mistero di affidarsi al sostegno della Cina per tutelare la propria sovranità. I contatti stretti con l’Esercito popolare di liberazione cinese erano ben noti prima dell’operazione Sindoor, l’attacco missilistico compiuto dall’esercito indiano il 6 maggio per ritorsione in seguito all’attentato a Pahalgam. Il governo Modi sembrava ignaro del coinvolgimento di Pechino quando ha deciso di lanciare l’attacco Sindoor, nonostante gli avvertimenti degli analisti della difesa indiani.
Il rapporto della Us-China economic and security review commission fa luce anche su cosa intende Donald Trump per nuovo ordine mondiale. Come molti ricorderanno, appena entrato in carica a gennaio, Trump ha cominciato a smantellare diversi dipartimenti e programmi governativi che fino ad allora avevano esercitato il soft power di Washington nel resto del mondo. Di particolare importanza è stata la sospensione dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid), considerata una sorta di braccio diplomatico del dipartimento di stato. Non solo le porte della Usaid si sono chiuse, ma sono stati ridotti altri investimenti nella diplomazia. I tagli e la riorganizzazione all’interno del dipartimento di stato e quelli imminenti al servizio estero indicano una visione del mondo che non crede nella persuasione, ma nella forza. I teorici del trumpismo credono nella centralità del potere presidenziale. Ciò significa che ai loro occhi è lo Studio ovale, e non il dipartimento di stato o il corpo diplomatico, a orientare la politica estera.
In linea con questo modo di vedere le cose, i recenti accordi che Washington ha stipulato sui dazi e su altre questioni hanno avuto tutti come palco la Casa Bianca, spesso Trump in prima persona. La visita del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman alla Casa Bianca il 18 novembre ne è un esempio. L’accordo di difesa reciproca tra Washington e Riyadh è stato presentato come un’idea geniale di Trump. In qualche modo, il presidente si vede come un sovrano, più o meno come il principe saudita.
Se l’India l’avesse capito a maggio, si sarebbe risparmiata molti problemi. Quando Trump si è vantato di aver fermato il conflitto tra New Delhi e Islamabad non stava solo cercando di assecondare il suo narcisismo. Stava ribadendo un modo nuovo di concepire la presidenza statunitense come centro della diplomazia. Invece di accorgersene, il governo indiano ha continuato a credere che i buoni rapporti diplomatici avrebbero garantito la comprensione tra Washington e New Delhi.
Questa comprensione nel secondo mandato di Trump non si è ancora vista. La nuova concezione della presidenza statunitense come potere esecutivo senza limiti continua a consolidarsi. È un messaggio che pochi paesi possono ignorare.
Le affermazioni contenute nel nuovo rapporto presentato al congresso indicano non solo che il Pakistan ha vinto la guerra, ma anche che l’India ha perso sul piano diplomatico perché non è stata in grado di riconoscere la nuova struttura della diplomazia di Washington. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati





