Umberto Eco firma le copie del libro Il pendolo di Foucault al Salone del libro di Torino, 1991. (Alberto Cristofari, Contrasto)

Sulle intelligenze artificiali ci sono spesso posizioni estreme. Quelle di chi le rifiuta in blocco e sostiene che si tratta di un pericolo mortale. E quelle di chi le abbraccia senza condizioni affermando che porteranno solo cose buone. In mezzo c’è tutta una gamma di punti di vista che sono spesso più ragionevoli, come ricorda Kwame Anthony Appiah nell’articolo di copertina di questa settimana, e che variano anche con il variare del contesto. Giustamente nessuno si sentirebbe tranquillo ad affidare la propria vita a intelligenze artificiali che hanno una grande probabilità di commettere errori (senza comunque dimenticare che anche gli esseri umani possono sbagliare). E al tempo stesso siamo tutti d’accordo che far svolgere alle intelligenze artificiali compiti ripetitivi e meccanici può essere una buona idea, anche a costo di qualche errore. Un aspetto da tener presente è che quando parliamo di tecnologie i nostri giudizi sono in parte condizionati da quello che sappiamo fino a quel momento. Già oggi possiamo dire, alla luce dell’esperienza, che concentrare grandi quantità di informazioni, soldi e potere nelle mani di poche aziende private è una pessima idea. Mentre è più complicato sapere, per ora, quali siano gli effetti delle intelligenze artificiali sull’apprendimento, la creatività o le relazioni. È probabile che molte delle attuali preoccupazioni ci faranno sorridere e saranno forse sostituite da altre a cui oggi non pensiamo, solo perché non sappiamo ancora quali saranno gli sviluppi nei prossimi tre o dieci anni. Nel 1988 Umberto Eco raccontò di aver scritto con il computer una parte del Pendolo di Foucault. All’epoca era raro, i computer erano poco usati, e ci fu chi disse che questo aveva influito negativamente sulla qualità della scrittura del romanzo. Come ha osservato Alberto Puliafito nella newsletter Artificiale, “oggi a nessuno verrebbe in mente di criticare il fatto che un libro sia stato scritto al computer. Anzi, ci sembrerebbe strano il contrario”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 7. Compra questo numero | Abbonati