Quando gli storici guarderanno indietro a questo decennio, difficilmente gli sembrerà che il momento più importante siano state le polemiche sull’opportunità o meno di pubblicare i dossier del governo statunitense su Jeffrey Epstein, il defunto miliardario con conoscenze ai piani alti della società e della politica che ha commesso abusi sessuali su donne e ragazze. O la battaglia tra repubblicani e democratici sul finanziamento della spesa pubblica. E difficilmente ricorderanno lo sterminio in corso nel Sudan occidentale o il conflitto tra Russia e Ucraina, nonostante l’estrema gravità di queste crisi.
Un momento più significativo, che ha ricevuto incredibilmente poca attenzione a livello globale, soprattutto se si considerano le sue potenziali conseguenze a lungo termine, sarà stato un vertice globale poco partecipato in Brasile, seguito nello stesso paese dalla conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la Cop30, che aveva l’obiettivo di affrontare il riscaldamento climatico causato dalle emissioni di anidride carbonica.
Bill Gates ha invitato a ridurre l’attenzione sul cambiamento climatico e a concentrare le risorse sulla povertà e la salute
Sulla base delle previsioni attuali gli scienziati ritengono che la temperatura media globale aumenterà di 2,8 gradi entro la fine del secolo. Di fronte a una tale sfida, siamo tutti prigionieri di una ossessione per il presente che intralcia gli sforzi di concentrarsi sulle minacce non imminenti, e rende difficile dedicare risorse al tentativo di evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Ci sono davvero troppe crisi in corso, e le persone s’illudono che qualunque cosa succeda saranno inventate nuove tecnologie per salvare la situazione.
Il politologo di Yale James C. Scott metteva in guardia da questa tendenza. Scott scriveva che facciamo “eroiche congetture” sull’ingegnosità della specie umana, ma la nostra straordinaria inventiva nel corso della storia ha portato spesso a problemi ancora più complicati.
Il sintomo più recente di questa tendenza a cedere all’ottimismo tecnologico lo troviamo in una nota pubblicata il 28 ottobre da Bill Gates, in cui il miliardario fondatore della Microsoft ha invitato a ridurre un po’ l’attenzione verso il cambiamento climatico in modo che il mondo possa concentrare le risorse collettive su una cosa a cui lui si dedica personalmente da molto tempo: alleviare la povertà globale e migliorare la salute pubblica.
Gates non dice che il cambiamento climatico non è reale, o che non bisogna fermarlo. Nel suo messaggio, tuttavia, è implicita l’idea che con il passare del tempo si troveranno delle soluzioni per affrontare questa sfida e che nel frattempo dovremmo dare la precedenza alle sue preoccupazioni di lunga data, che sono urgenti ma anche – a suo dire –in gran parte risolvibili.
Negli Stati Uniti della presidenza Trump l’influenza di Gates non è più quella di una volta. L’ascolto e il prestigio morale che aveva in passato sono stati superati da una generazione più giovane di miliardari, guidata da Elon Musk, mossi più da ambizioni futuristiche e dalla sfrenata ricerca di ricchezze sempre maggiori più che dall’idealismo e dalla filantropia.
Il mondo deve fare di più per combattere le malattie e per unire le forze contro la povertà. Ma per il clima è inutile sperare in una soluzione tecnologica che potrebbe non arrivare mai
A modo suo, per via di conseguenze indesiderate, la nota di Gates che contrappone il clima alla povertà ha avuto un’influenza enorme, almeno a breve termine. Alcune voci dell’area conservatrice si sono appigliate subito a queste parole per sostenere la loro tesi secondo cui la minaccia del cambiamento climatico sarebbe sempre stata esagerata, o addirittura sarebbe una “bufala” portata avanti dai progressisti. Ai loro occhi è stato come se Gates, considerato un alfiere della mentalità tecnocratica progressista, avesse detto: “Rilassatevi!”.
Per ragioni che chiarirò a breve, non sono per niente d’accordo con Gates, ma ovviamente lui non intendeva questo. In effetti ha detto: “Facciamo quello che sappiamo fare rispetto a un problema per il quale abbiamo delle soluzioni pronte e con il tempo si troveranno anche quelle per il cambiamento climatico”.
L’interpretazione in malafede delle sue parole è stata evidente nell’esultanza di molti editoriali e commenti seguiti alla nota di Gates, che suonavano un po’ come: “Evviva, la strega cattiva del cambiamento climatico è morta!”.
Niente però supera l’intervista rilasciata alla Bbc da un’analista della Heritage foundation. L’esperta di clima del centro studi conservatore, Diana Furchtgott-Roth, ha usato le parole di Gates per ribadire che l’importanza data al cambiamento climatico è esagerata e poi ha sfoderato una serie di diversivi per sostenere la necessità di aumentare l’uso dei combustibili fossili.
L’intervistatore ha ricordato a Furchtgott-Roth che il costo delle energie rinnovabili è già molto più basso di quello delle tradizionali fonti fossili (e continua a diminuire), ma lei ha risposto che si tratta di una fonte inefficiente perché il sole va via di notte e l’intensità dei venti è variabile. È per questo, sostiene lei, che nessuna industria pesante ha mai fatto fortuna basandosi sulle rinnovabili. Furchtgott-Roth ha evitato di dire che le rinnovabili stanno rapidamente diventando più economiche e più potenti e ormai possono fornire energia costante a tutte le ore del giorno.
Tuttavia, le argomentazioni più ciniche di Furchtgott-Roth stavano altrove ed erano velate di xenofobia e razzismo. Prima ha dichiarato che il mondo deve impegnarsi per lo sviluppo dei combustibili fossili perché saranno fondamentali per sostenere il cosiddetto mondo in via di sviluppo, dove si trova la maggior parte delle riserve di petrolio e gas. Impedire a questi paesi di sfruttarle, secondo lei, li condannerebbe alla miseria negandogli una fonte essenziale di guadagno e ostacolando l’industrializzazione. Ma poi ha affermato che garantirgli entrate derivanti da fonti fossili sarebbe fondamentale per impedire le migrazioni da questi paesi verso l’occidente ricco e a maggioranza bianca.
Riflettendoci bene, è difficile credere che non si tratti di una sorta di campagna promozionale per il ricco settore dei combustibili fossili. Ci sono poche prove che in passato l’estrazione di petrolio e gas abbia fatto uscire dalla povertà le popolazioni del sud globale. I contratti di esplorazione e sfruttamento, di solito, fanno arrivare la maggior parte dei guadagni al mondo ricco e non alle popolazioni dei paesi dove sono presenti le riserve di greggio. La raffinazione e la produzione di derivati del petrolio come fertilizzanti e plastiche, inoltre, non avvengono quasi mai nei paesi produttori. Con quel che gli rimane, pochi paesi sono riusciti a piegare la curva dello sviluppo in direzione della lotta alla povertà e dell’industrializzazione.
Confutare definitivamente le tesi di persone come Furchtgott-Roth, tuttavia, significa farlo anche con Gates e tornare agli avvertimenti del politologo James C. Scott. Oggi che gli uragani e le siccità devastanti si fanno più frequenti, insieme ad altre trasformazioni del clima globale, le persone che vivono ai tropici (in cui si concentra la grande maggioranza dei poveri del mondo) sono quelle destinate a essere colpite più duramente. E al tempo stesso sono quelle con meno strumenti per prepararsi e mitigare le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Nei prossimi anni le regioni costiere tropicali, dove si trovano alcune delle città in più rapida espansione, saranno inondate e le loro terre coltivabili saranno desertificate. È assurdo, quindi, pensare che le entrate del petrolio e del gas possano compensare questi disastri. O peggio, che lo spauracchio di grandi movimenti migratori sarà arginato dalla nuova ricchezza creata dai combustibili fossili.
Bill Gates, anche se è più sincero, sembra un po’ illudersi. Certo, il mondo deve fare di più per combattere malattie tropicali come la malaria e unire le forze per occuparsi della povertà estrema. Ma è inutile sperare ciecamente in una soluzione tecnologica al cambiamento climatico che potrebbe non arrivare mai.
Probabilmente anche la malaria e altri simili flagelli d’altri tempi aumenteranno man mano che il mondo diventerà più caldo. E la devastazione degli ambienti in cui vivono i poveri del mondo non farà altro che costringerli a cercare rifugio altrove. ◆ fdl
Questo articolo è uscito su Foreign Policy.
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Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati





