Il 23 giugno, all’indomani delle “devastazioni” che gli Stati Uniti sostengono di aver inflitto agli impianti nucleari iraniani, Israele ha condotto dei massicci bombardamenti contro la capitale Teheran, prendendo di mira in particolare la prigione di Evin e l’impianto nucleare di Fordo.

Lo stesso giorno l’Iran ha minacciato Washington di “gravi conseguenze”, mentre Cina, Stati Uniti e Unione europea temono che Teheran possa chiudere lo stretto di Hormuz, attraverso cui transita un quinto della produzione mondiale di petrolio.

Nell’undicesimo giorno di guerra tra Iran e Israele, il ministro della difesa israeliano Israel Katz ha affermato che l’aviazione “sta colpendo Teheran con una forza senza precedenti”.

In particolare, le forze israeliane hanno preso di mira la prigione di Evin, dove sono rinchiusi prigionieri politici e cittadini di paesi occidentali.

La giustizia iraniana ha confermato che la struttura è stata danneggiata.

Israele ha anche bombardato l’impianto nucleare di Fordo, che si trova in una zona montuosa a sud della capitale, per “bloccarne le vie d’accesso”.

Gli attacchi israeliani hanno danneggiato una centrale elettrica della capitale iraniana, causando interruzioni di corrente, ma l’elettricità è stata poi ripristinata, ha affermato l’agenzia di stampa Tasnim.

Israele ha colpito anche il quartier generale dei Guardiani della rivoluzione, l’esercito ideologico dell’Iran, ha dichiarato Effie Defrin, un portavoce dell’esercito israeliano.

La strategia del caos
L’attacco di Israele all’Iran non punta solo a colpire le strutture militari e nucleari della Repubblica islamica, ma anche a rovesciare il regime. E potrebbe portare a un aumento dell’instabilità globale

Intanto, Teheran ha avvertito Washington del rischio di un “allargamento del conflitto a tutta la regione”.

“I combattenti dell’islam v’infliggeranno conseguenze pesanti e imprevedibili con operazioni mirate”, ha dichiarato il portavoce militare Ebrahim Zolfaghari.

Il giorno prima Ali Akbar Velayati, un consigliere della guida suprema Ali Khamenei, aveva affermato che gli Stati Uniti “non hanno più posto in Medio Oriente”, aggiungendo che le basi statunitensi sono “obiettivi legittimi”.

Il presidente russo Vladimir Putin, alleato di Teheran, ha condannato l’intervento militare statunitense, definendolo “un’aggressione senza fondamento e senza giustificazione” al termine di un incontro con il ministro degli esteri iraniano Abbas Araghchi.

Araghchi ha accusato Washington di aver “tradito la diplomazia”, riferendosi ai colloqui tra Iran e Stati Uniti sul programma nucleare iraniano.

La sera del 22 giugno il presidente statunitense Donald Trump aveva auspicato sul suo social network Truth Social un cambio di regime in Iran: “Parlare di cambio di regime non è politicamente corretto, ma se il regime attuale non è in grado di RIDARE ALL’IRAN LA SUA GRANDEZZA, perché escludere un cambio di regime?”.