A maggio in Giappone il prezzo del riso è più che raddoppiato rispetto allo stesso mese del 2024, con un aumento del 101,7 per cento, il più alto in più di cinquant’anni. A marzo e ad aprile il confronto con l’anno precedente indicava rincari rispettivamente del 92,1 e del 98,4 per cento. La situazione ha spinto il governo di Tokyo a mettere sul mercato le scorte d’emergenza nella speranza di rallentare la crescita dei prezzi. Le autorità giapponesi dispongono di un milione di tonnellate in equivalente riso bianco nelle riserve strategiche, costituite in vista di disastri naturali e altre emergenze.
Ogni anno il ministero dell’agricoltura compra duecentomila tonnellate in equivalente riso bianco prodotte nel paese e le conserva per cinque anni prima di venderle. Il 14 febbraio 2025 il governo aveva annunciato l’impiego di riserve per 210mila tonnellate con l’obiettivo di rafforzare l’offerta e quindi frenare i rincari. È la prima volta che una decisione simile viene presa per eventi che non sono disastri naturali. Per farlo, a gennaio il ministero dell’agricoltura aveva fatto modificare la legge che regola la gestione delle riserve strategiche.
In questi mesi, tuttavia, la mossa non ha prodotto gli effetti sperati, visto che il prezzo del riso ha continuato a salire, spingendo in alto anche l’inflazione: a maggio il tasso di crescita dei prezzi al consumo ha raggiunto il 3,7 per cento, il livello più alto dal gennaio del 2023. Nel primo trimestre del 2025, invece, il pil è diminuito dello 0,2 per cento. È il 30° mese consecutivo che l’inflazione si trova sopra la soglia obiettivo del 2 per cento fissata dalla Banca del Giappone. Gli esperti fanno notare che nel paese asiatico il riso contribuisce al 50 per cento del’inflazione di fondo, quella calcolata escludendo i prezzi di prodotti troppo volatili come i cibi freschi e l’energia.
La causa della rapida salita del prezzo è legata al fatto che da più di un anno il Giappone è alle prese con una grave carenza dell’offerta di riso, a cui nel 2023 sono mancate duecentomila tonnellate. I supermercati, scrive il New York Times, sono stati perfino costretti a razionare la merce disponibile sugli scaffali.
I raccolti degli ultimi anni sono stati rovinati dalle condizioni meteorologiche estreme: estati eccessivamente calde hanno devastato le piantagioni di riso koshihikari, la varietà più pregiata tra quelle coltivate in Giappone. Il koshihikari è notoriamente poco resistente alle temperature alte. Nella prefettura di Niigata, nella parte centro occidentale di Honshū, la principale isola dell’arcipelago giapponese, nel 2024 meno del 5 per cento del koshihikari prodotto ha ricevuto il bollino di qualità che ne autorizza la vendita a prezzi più alti; negli anni precedenti la percentuale era stata sempre intorno all’80 per cento.
Gli agronomi e gli imprenditori giapponesi stanno cercando di orientare la produzione verso varietà più resistenti alle temperature estreme, come la shinnosuke, sviluppata dall’istituto di ricerca agricola di Niigata. Ma in questa crisi il paese asiatico non deve fare i conti solo con il clima. Ci sono fattori come l’eccesso di turismo, che ha fatto crescere i consumi, e le politiche che nel tempo hanno ridotto i terreni agricoli destinati alla coltivazione del riso. Ma soprattutto c’è il paradosso per il quale la pubblica amministrazione continua a pagare gli agricoltori per limitare la loro produzione con l’obiettivo di sostenerne i prezzi, una politica in vigore da più di cinquant’anni, chiamata gentan, che costa miliardi di dollari allo stato e in più esaspera le aziende: lo scorso 30 marzo i coltivatori hanno deciso di scendere in piazza contro le regole imposte dal governo e nella capitale Tokyo sono arrivati più di quattromila agricoltori.
Oggi, inoltre, il paese produce il 99 per cento del riso che consuma, un approccio autarchico, basato su misure protezionistiche contro i produttori stranieri, che però espone il settore a forti shock. L’anno scorso il Giappone ha prodotto 7,3 milioni di tonnellate di riso e ne ha importate appena 770mila senza imporre dazi: per tutto il riso importato oltre questa quota è prevista una tariffa di 341 yen al chilo.
In Giappone la politica agricola, e in particolare tutto ciò che ha a che fare con il riso, provoca profondo malcontento nell’opinione pubblica e spesso anche crisi politiche. Nel 2007 uno dei fattori dietro la caduta del governo del Partito liberaldemocratico (Pld, conservatore), che aveva guidato il paese praticamente senza sosta dal 1945, fu il progetto di riformare le regole sulla produzione di riso. Come scrive l’Economist, “i giapponesi non sono famosi per le rivolte, ma prendono il riso molto sul serio”. Basti pensare che il 21 maggio il ministro dell’agricoltura Taku Eto è stato costretto alle dimissioni dopo aver dichiarato di non aver mai dovuto comprare il riso, dato che gli è sempre stato regalato dai sostenitori in grandi quantità.
All’inizio di giugno il suo successore, Shinjiro Koizumi, figlio dell’ex primo ministro Junichiro Koizumi, ha annunciato misure per impedire che il riso sia comprato al dettaglio allo scopo di essere subito rivenduto per speculare sul rialzo dei prezzi: dal 23 giugno chi vende riso a un prezzo superiore a quello praticato al dettaglio rischia fino a un anno di prigione o una multa fino a un milione di yen (5.940 euro). Alla fine di maggio, inoltre, Koizumi ha messo in circolazione altre trecentomila tonnellate di riso prese dalle riserve d’emergenza.
La tensione è destinata ad aumentare, visto che a luglio i giapponesi voteranno per il rinnovo della camera alta del parlamento. L’industria del riso continua a esercitare una forte influenza sulla politica, in particolare sui conservatori del Pld. L’esito del voto in interi distretti dipende dall’orientamento delle organizzazioni degli agricoltori. Ora però i partiti e primo fra tutti il premier liberaldemocratico Shigeru Ishiba dovranno cercare di conciliare gli interessi della lobby agricola con l’insofferenza dei cittadini, in particolare di quelli delle grandi città. Presto o tardi la politica e il mondo delle imprese giapponesi dovranno affrontare la realtà che, tra gli effetti della crisi climatica, le evoluzioni del commercio globale e l’inflazione, rende sempre più inadeguata la politica protezionistica seguita fin qui da Tokyo in materia di riso.
La scelta obbligata sembra quella di ridurre i limiti alla produzione interna e aprire il paese alle importazioni. Forse vanno in questa direzione alcune mosse del ministro dell’agricoltura Koizumi, il quale all’inizio di maggio ha fatto notare che non ci possono essere “vacche sacre” quando di parla di politica agricola e ha poi aggiunto che in questo settore il governo “è sempre stato ostaggio delle lobby, al punto da escludere qualunque riforma in grado di aiutare i consumatori”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.
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