Tra contratti mirabolanti e il clamore della sua visita in Arabia Saudita, Donald Trump ha messo a segno un colpo diplomatico, forse il più audace del suo secondo mandato alla Casa Bianca. Il 14 maggio il presidente statunitense ha incontrato per mezz’ora Ahmed al Sharaa, capo di una transizione siriana particolarmente delicata ed ex jihadista di cui parte degli occidentali stenta ancora a fidarsi. Alla vigilia dell’incontro Trump ha cancellato tutte le sanzioni di Washington imposte alla Siria dai tempi degli Assad (padre e figlio).

Ancora una volta il presidente statunitense sorprende tutti e dimostra di seguire l’istinto più che le analisi diplomatiche. Nel momento in cui ha annunciato la cancellazione delle sanzioni, Trump si è voltato verso il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (detto Mbs) e ha esclamato: “Cosa non farei per quest’uomo!”.

Ieri Mbs, l’uomo forte dell’Arabia Saudita, ha assistito personalmente all’incontro tra Trump e Al Sharaa, mentre collegato al telefono c’era un altro uomo forte, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

Accordando grande fiducia al leader siriano, Trump punta forte sulla stabilizzazione del paese, chiudendo un occhio sui massacri compiuti ai danni della minoranza alawita e di quella drusa nelle ultime settimane e sul passato jihadista di Al Sharaa, ex esponente di Al Qaeda convertito al pragmatismo.

Quando dieci giorni fa il presidente ad interim siriano è stato ricevuto a Parigi all’Eliseo, la leader dell’estrema destra francese Marine Le Pen aveva espresso su X il suo “stupore” e la sua “costernazione”, denunciando “l’irresponsabilità di Macron”. Ma ora che è Trump a intervenire pubblicamente per favorire la stabilità e la pace in Siria, Le Pen ribadirà la sua posizione?

Lo stupore, comunque, è ancora più forte a Tel Aviv. Il 14 maggio, un giornale vicino a Netanyahu ha affermato che il primo ministro israeliano aveva cercato invano di dissuadere Trump dalla cancellazione delle sanzioni, in un momento in cui lo stato ebraico continua a compiere incursioni militari in Siria destabilizzando pesantemente il paese.

I rapporti con Damasco sono un nuovo motivo di scontro tra Netanyahu e il presidente statunitense, anche se Trump ha invitato Al Sharaa a prendere parte (a tempo debito) agli accordi di Abramo – cioè a riconoscere Israele.

Il viaggio in Medio Oriente ha dimostrato che Trump considera l’Arabia Saudita il suo partner principale, non solo nella regione ma nel mondo. I motivi sono legati agli interessi personali e quelli familiari del presidente, agli investimenti colossali promessi dal regno negli Stati Uniti e al ruolo di Riyadh in questo periodo turbolento.

Il paese wahabita si impone come leader del mondo sunnita in un momento di crisi profonda. Mohammed bin Salman è diventato l’uomo che sussurra all’orecchio di Trump: l’Arabia Saudita vuole una Siria stabile? Ecco che Washington cancella le sanzioni. Ora il governo siriano potrà cercare i finanziamenti per la sua ricostruzione, e questo spiega la grande gioia per le strade di Damasco.

E al di là della Siria, la posizione saudita potrà influenzare Trump anche sul rapporto con l’Iran (Bin Salman non vuole un attacco militare) o sul fatto che la tragedia di Gaza rappresenti un ostacolo alla normalizzazione dei rapporti con Israele. Mbs ha fatto evidentemente un ottimo investimento.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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