Cosa vuole Israele in Siria? Allo stato attuale, potrebbe scegliere tra due strade. La prima consiste nel negoziare un accordo di pace con il nuovo regime, che ha aperto la porta a questa possibilità. La seconda è partecipare, nel nome di un’autoproclamata “alleanza delle minoranze”, alla frammentazione del paese vicino con il duplice obiettivo di renderlo inoffensivo e di trasformare la regione in una giustapposizione di microstati etno-comunitari tra i quali Israele sarebbe di gran lunga il più potente.
Ha già preso una decisione? Le centinaia di attacchi compiuti dopo la caduta del regime di Bashar al Assad, il rosicchiamento di una parte del territorio siriano, la retorica bellicista e le minacce d’invasione hanno l’obiettivo di concludere un accordo di pace da una posizione di forza? E cioè di convincere Damasco a non rivendicare alcuna sovranità sul Golan annesso? È un’ipotesi. Ma sembra a dir poco traballante: più Israele attacca, più sarà difficile per il presidente ad interim della Siria, Ahmed al Sharaa, normalizzare le relazioni.
Tutto porta a pensare che lo stato ebraico abbia scelto la seconda strada. Forse perché teme come la peste un governo islamista – per di più sostenuto dalla Turchia – ai suoi confini? O invece perché vuole approfittare di questo slancio per ridisegnare la regione? In questa fase entrambe le letture sono plausibili, ma la seconda lo è ogni giorno di più.
L’accordo tra Damasco e i curdi ha in ogni caso ostacolato i piani d’Israele. Ma le tensioni tra i drusi e il nuovo potere gli offrono un’altra possibilità d’interferire nella partita siriana e di alimentare le divisioni. Il suo ministro delle finanze Bezalel Smotrich non ne fa mistero: “Israele continuerà a combattere fino a quando la Siria sarà smantellata”.
Chi gli impedirà di mettere in atto il suo progetto? A prima vista, nessuno. Israele fa quello che vuole dove vuole, come dimostra almeno da diciotto mesi: le voci più radicali al suo interno snocciolano mostruosità e poi queste mostruosità sono messe in atto, sotto una facciata più accettabile, a Gaza e in Cisgiordania.
◆Il 6 maggio 2025 Israele ha condotto per il secondo giorno consecutivo dei raid aerei nello Yemen, prendendo di mira la capitale Sanaa e il suo aeroporto, controllati dai miliziani sciiti huthi. Il 5 maggio aveva colpito alcune infrastrutture a Hodeida, nell’ovest del paese, all’indomani del lancio di un missile dei miliziani contro l’aeroporto di Tel Aviv, riferisce il quotidiano yemenita Al Thawra. Il 4 maggio anche gli Stati Uniti hanno colpito Sanaa, con l’obiettivo di fermare gli attacchi compiuti dai miliziani contro le navi nel mar Rosso e nel golfo di Aden in solidarietà con i palestinesi della Striscia di Gaza. Due giorni dopo l’Oman ha annunciato un accordo di cessate il fuoco tra Stati Uniti e huthi.
◆Il 28 aprile nei dintorni di Damasco sono scoppiati degli scontri tra gruppi armati drusi e fazioni sunnite legate alle nuove autorità siriane, dopo la diffusione di un messaggio audio attribuito a un religioso druso e giudicato blasfemo nei confronti del profeta Maometto. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani sono morte più di cento persone di entrambe le parti. Due giorni dopo è tornata la calma grazie a una serie di accordi tra le autorità e i rappresentanti dei drusi. Affermando di agire in difesa della comunità drusa, nei giorni successivi Israele ha lanciato una serie di attacchi in Siria, colpendo anche le vicinanze del palazzo presidenziale di Damasco. In un articolo su Haaretz, Gideon Levy scrive che in realtà al governo di Benjamin Netanyahu non interessa il destino dei drusi, ma ha sfruttato l’occasione per attaccare un’altra volta la Siria in un momento di debolezza, anche per attirare i voti della comunità drusa israeliana.
◆Il presidente ad interim siriano Ahmed al Sharaa è stato ricevuto il 7 maggio a Parigi dal suo collega Emmanuel Macron per la sua prima visita in Europa. Tra il 13 e il 16 maggio è prevista la visita del presidente degli Stati Uniti Donald Trump in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti per discutere di difesa e cooperazione economica.
Aprire gli occhi
Qualcuno potrebbe obiettare che il caso della Siria è diverso. Che a prescindere dalle loro affermazioni i grandi del mondo se ne infischiano della Palestina, ma non della Siria. Che il piano israeliano è in contrasto con i desideri di Turchia, Russia, Arabia Saudita, Europa e perfino Stati Uniti. Che chi continua a chiudere gli occhi davanti alle atrocità commesse a Gaza in ragione dei massacri del 7 ottobre 2023 non può fare lo stesso con la Siria. Qui non può emergere una narrazione alternativa: Israele attacca e la Siria non si prende neanche la briga di difendersi.
Basterà a spingere le potenze a opporsi a questa politica di destabilizzazione? Aprirà gli occhi sul fatto che lo stato ebraico non vuole la pace, come afferma, ma una guerra senza fine che alimenti la sua evoluzione interna, la sua ossessione di sicurezza e la sua tentazione egemonica?
Gli Stati Uniti hanno contribuito alla conclusione dell’accordo tra Damasco e i curdi, pur mantenendo in vigore le sanzioni. L’Arabia Saudita sembra seria nel voler aiutare finanziariamente la Siria. Anche l’Europa sta facendo un passo in questa direzione. E la Turchia, sostenitrice del nuovo regime, non ha intenzione di lasciare che Israele mandi all’aria i suoi piani. Anzi è l’unica potenza della regione in grado di tenergli testa.
Per tutti questi motivi Tel Aviv avrà un margine d’azione minore in Siria rispetto a Gaza. Se riuscirà a sganciare i drusi da Damasco, tuttavia, la situazione potrebbe cambiare. La politica dell’attesa, quindi, deve essere superata. È arrivato il momento che si svegli chi non vuole l’attuazione di questo scenario, contribuendo a consolidare il potere di Ahmed al Sharaa ed esigendo allo stesso tempo dall’ex jihadista risultati concreti per quanto riguarda il rispetto delle minoranze. Perché a prescindere da quello che si pensa delle sue intenzioni e della sua metamorfosi, il presidente ad interim incarna paradossalmente l’unica speranza che la Siria non imploda. E Netanyahu il suo più grande affossatore. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1613 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati