Nelle ultime settimane gli allarmi su una possibile bolla nel settore delle intelligenze artificiali (ia) sono arrivati da ogni direzione: dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca d’Inghilterra, dal direttore della principale banca degli Stati Uniti e perfino da Sam Altman, il fondatore della OpenAi. “È una bolla non solo del mercato azionario, ma anche degli investimenti e della politica”, spiega David Edgerton, professore di storia della scienza e della tecnologia al King’s college di Londra.

Ad alimentare i timori c’è anche l’intreccio di accordi tra le principali aziende del settore delle ia. Per esempio la Nvidia, produttrice dei processori che hanno permesso il successo delle intelligenze artificiali, di recente ha investito cento miliardi nella OpenAi, per consentirle di costruire un data center (un centro di elaborazione dati) pieno di chip della stessa Nvidia. La OpenAi, di contro, ha siglato un accordo che potrebbe portarla a controllare il 10 per cento della Amd, concorrente della Nvidia nel campo dei processori.

Le preoccupazioni che la bolla delle ia possa scoppiare nascono anche dalla portata del fenomeno: secondo la multinazionale di servizi finanziari Morgan Stanley Wealth Management, solo per i centri dati si spendono ogni anno 400 miliardi di dollari. Nel secondo trimestre del 2025 il pil degli Stati Uniti è cresciuto del 3,8 per cento ma, secondo l’economista Jason Furman, dell’università di Harvard, senza contare i centri dati la crescita nei primi sei mesi dell’anno sarebbe appena dello 0,1 per cento.

Corsa agli investimenti

Nell’ultimo anno il valore delle prime dieci startup d’intelligenza artificiale è aumentato di quasi mille miliardi di dollari.

Financial Times

Carl-Benedikt Frey, storico ed economista dell’università di Oxford, sottolinea che una girandola di affari di queste proporzioni non è un fenomeno nuovo nella storia della tecnologia. Anzi, sarebbe strano se il ritmo degli investimenti nelle infrastrutture legate a una nuova tecnologia fosse precisamente quello necessario per soddisfare la domanda. “Costruire in eccesso è abbastanza normale: è avvenuto lo stesso con il boom delle ferrovie e con la bolla delle dot-com”, spiega Frey.

Il problema è capire se uno scoppio della bolla danneggerebbe solo le aziende coinvolte o se invece avrebbe un impatto più generale. Frey sottolinea che molti dei costosissimi centri dati si costruiscono “fuori bilancio”, cioè creando società finanziate da investitori esterni o dalle banche. Queste società costruiscono e possiedono le strutture, prendendosi tutti i rischi ed eventualmente i guadagni.

Perché la Cina regala la sua tecnologia
Pechino sostiene il software libero per accelerare lo sviluppo tecnologico. Ma prima o poi questa scelta si scontrerà con la smania di controllo del governo.
 

Il risultato è che non sappiamo chi sia davvero a rischio. Un centro dati può essere finanziato da una decina di miliardari della tecnologia o dalle banche tradizionali. Se le perdite fossero abbastanza consistenti, una crisi bancaria potrebbe scuotere l’intera economia. “Questo non significa che ci sia un pericolo finanziario imminente, ma la situazione non è molto chiara. E quando una situazione è opaca, di solito comporta dei rischi”, sostiene Frey.

Secondo l’economista Benjamin Arold, dell’università di Cambridge, la conferma dei timori arriva dal rapporto tra i profitti e il valore delle società, che mostra quanto sia inconsapevole l’opinione pubblica delle reali dimensioni del loro giro d’affari. Secondo Arold, i dati del settore tecnologico sono allarmanti.

“L’ultima volta in cui il divario è stato così ampio è stata venticinque anni fa. Come ricordiamo tutti, quello è stato il periodo della bolla delle dot-com”, sottolinea Arold. “Certo, è sempre possibile che tutto vada bene, ma personalmente non ci scommetterei”.

Tutto gratis, per ora

James Poskett, che insegna storia della scienza e delle tecnologia all’università di Warwick, nel Regno Unito, crede che presto arriverà una correzione nell’industria delle ia che potrebbe segnare la fine di molte aziende, ma non la fine delle ia. “È importante non confondere tutto questo con l’idea che la tecnologia sia difettosa o possa scomparire”, sottolinea Poskett. “Forse la bolla dell’intelligenza artificiale sta per scoppiare, ma non significa che non avremo più le ia”.

La bolla ferroviaria si lasciò dietro poche compagnie superstiti e una vasta rete di collegamenti su rotaia. E la bolla del dot-com ci ha lasciato in eredità un sistema di grandi reti in fibra ottica. Anche stavolta, dice Poskett, ci rimarrà una tecnologia utile.

Per i consumatori, uno scoppio della bolla delle ia significherebbe probabilmente meno possibilità di scelta, prezzi un po’ di più cari e aggiornamenti meno frequenti. E potrebbe costringerci a fare i conti con il fatto che usare uno strumento potente e costoso come Gpt-5 per scrivere una email è come usare una mazza per aprire una noce, e che il suo vero costo è stato nascosto dalla corsa agli armamenti dell’ia. “In questo momento sembra tutto gratis, ma prima o poi”, afferma spiega Poskett “queste aziende dovranno cominciare a fare profitti”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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Cosa succede nel mondo dell’intelligenza artificiale. Ogni venerdì, a cura di Alberto Puliafito.
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