◆ Pier Paolo Pasolini tra il 1935 e il 1937 visse a Scandiano, dove prestava servizio il padre, un militare. Fra i tredici e i quindici anni per frequentare il ginnasio a Reggio Emilia prendeva quel trenino che tutti abbiamo preso. La sua descrizione dei giovani sui vagoni e quella dei campi che volano dietro al finestrino anticipano le atmosfere che Pier Vittorio Tondelli immortalò in Altri libertini . Non so in che modo i due anni in cui, come scrive Pasolini, si è tutti brutti e timidi, contribuirono alla sua formazione. Scandiano ha ricordato il cinquantesimo della morte con una performance intitolata Lucciole . Oltre alle lucciole nel frattempo sono scomparse anche la nebbia e l’inverno. Molte delle cose dette da Pasolini, con una lucidità così abrasiva da essere scambiata per profezia, si sono compiute. La società del consumo ci ha cambiato fino al punto in cui non si capisce più se i desideri sono espressione della nostra personalità o di un algoritmo. Ma il suo lascito più durevole è quello dello sguardo. Poter dare un nome alla forza del passato di cui siamo fatti, poter dire con lui “Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati… giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone” permette di vestire del mito anche quella via Emilia di cui, come diceva il mio amico Tony Benzina: “Tutti ne parlano male ma dà da mangiare a tanta gente”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati





