Nel giugno del 2024 il sito Prime Video di Amazon fu costretto a ripristinare in tutta fretta la locandina originale del film di Stanley Kubrick Full metal jacket, dopo che l’attore statunitense Matthew Modine aveva pubblicamente criticato la rimozione della scritta born to kill, “nato per uccidere”, dall’elmetto che si vede sul poster. Modine aveva sottolineato che il portale aveva mal interpretato la scritta posta accanto al simbolo della pace: una rappresentazione, aveva scritto, della “dualità dell’uomo”, la stessa spiegazione che il suo personaggio, il soldato Joker, pronuncia al generale che lo interroga sulla presenza di due simboli così in contrasto.

Questa “dualità dell’uomo” è al centro del terzo episodio del podcast Guerra, “Massacri”, dedicato a spiegare perché i soldati uccidono e, in particolare, perché uccidono chi con la guerra non c’entra niente.

Leggi da combattimento

Fin dagli albori della civilizzazione, gli esseri umani hanno cercato di contenere e limitare, con alterni successi, la brutalità della guerra: dal movimento cristiano della Pax Dei nell’Europa medievale, al divieto di uccidere gli innocenti e all’obbligo di rispettare i prigionieri stabiliti dai primi califfi dell’islam.

Il più serio e comprensivo tentativo di imporre limiti alla condotta di guerra è stato elaborato alla fine dell’ottocento, completato negli ultimi cinquant’anni, e va sotto il nome di diritto internazionale umanitario.

Non si tratta di un unico documento, ma di una serie di trattati, al centro dei quali ci sono le Convenzioni di Ginevra, che stabiliscono un complessivo codice di condotta che i combattenti sono tenuti ad adottare: il cosiddetto ius in bello, il diritto in guerra (diverso dallo ius ad bellum, che stabilisce invece i metodi legali per arrivare a una guerra).


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Guerra Cos’è la guerra e perché non vogliamo che si ripeta. Con Davide Maria De Luca.


Il cardine del diritto internazionale umanitario è nei princìpi che stabiliscono la protezione dei non combattenti, in cui sono compresi i civili e i combattenti hors de combat, “fuori combattimento”, cioè impossibilitati a proseguire lo scontro.

Il diritto internazionale umanitario è senza dubbio una grande conquista per il genere umano, ma allo stesso tempo è criticato per il suo “eurocentrismo”. Le sue norme, elaborate dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, concedono ampi spazi di manovra a chi ha le risorse per combattere conflitti costosi e tecnologicamente raffinati.

Le guerre condotte da Israele a Gaza sono un esempio lampante di questi problemi. Grazie al principio di proporzionalità – in base al quale un’azione militare non è considerata un crimine di guerra se il suo risultato è “proporzionato” ai danni inflitti alle categorie protette dai trattati – gli eserciti che hanno armi potenti, come quello israeliano, possono uccidere migliaia di civili e fare enormi danni alle infrastrutture, sostenendo di agire in modo legale perché con quegli attacchi colpiscono innanzitutto obiettivi militari rilevanti.

Invece i lanci palestinesi di razzi imprecisi contro Israele, quasi inoffensivi se paragonati ai bombardamenti israeliani, sono inequivocabilmente crimini di guerra per le leggi attuali, poiché la loro tecnologia rozza non permette di puntarli contro obiettivi specificamente militari.

Il massacro del Caprone

Il governo autoritario di Rafael Leónidas Trujillo Molina, nella Repubblica Dominicana, è stato forse quello che più di ogni altro ha incarnato – o forse creato – lo stereotipo della dittatura latinoamericana: uniformi bianche perfettamente stirate, culto della personalità che rasentava il grottesco, crudeltà raffinata e imprevedibile.

Il genocidio degli haitiani che Trujillo ordinò nel 1937 fu uno dei più violenti massacri dell’intera storia moderna del continente. A Trujillo, alla sua storia e ai suoi assassini, il premio Nobel Mario Vargas Llosa ha dedicato il romanzo La festa del caprone.

Il libro che meglio racconta il massacro e i suoi protagonisti è un testo quasi introvabile in lingue diverse dallo spagnolo, scritto da un testimone di quegli eventi: El masacre se pasa a pie, dello scrittore Freddy Prestol Castillo.

Sotto il fuoco

Nel 1947 il giornalista militare statunitense S.L.A. Marshall causò uno scandalo pubblicando il libro Uomini sotto il fuoco (Men against fire), in cui sosteneva che meno di un soldato americano su quattro, tra quelli in prima linea nella seconda guerra mondiale, aveva aperto il fuoco contro il nemico con l’intenzione di uccidere.

Marshall arrivò a questo dato dopo centinaia di interviste con i veterani. Il suo scopo era lanciare un grido d’allarme agli altri comandi sulle mancanze nell’addestramento delle truppe. Negli anni, i suoi dati sono stati ampiamente messi in discussione: la percentuale di chi si rifiuta di sparare anche in situazioni di pericolo è molto più bassa.

Il suo libro ebbe comunque un enorme impatto e generò discussioni che non si sono ancora chiuse. Da allora, l’addestramento delle truppe di fanteria nelle forze armate statunitensi, e in gran parte degli eserciti di tutto il mondo, ha iniziato a focalizzarsi maggiormente sul condizionamento all’uccisione (per esempio, con l’uso di bersagli di forma umana).

Anche se i dati di Marshall erano gonfiati, la sua intuizione si rivelò comunque corretta: gli esseri umani sono naturalmente restii a uccidere i propri simili ed è necessario un profondo condizionamento o un contesto particolare per spingerli a superare questa resistenza.

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