La domanda più rilevante dei nostri tempi non è più chi siamo o da dove veniamo o dove andiamo, ma quale sarà il modello di business della OpenAi. L’azienda ormai conta su un miliardo di utenti dopo otto anni di attività; Google ce ne ha messi tredici per arrivare a questo livello. Gli ultimi finanziamenti hanno portato la valutazione della OpenAi a trecento miliardi. Ma non è affatto chiaro quali fonti di ricavo avrà nei prossimi anni. Oggi incassa abbonamenti degli utenti per i servizi più avanzati, ma è un modello instabile: se lascia agli utenti gratuiti versioni troppo scadenti di Chat­Gpt, li perderà a favore di altre piattaforme (Deep­Seek); introdurre troppe varianti per spingere gli utenti già paganti a spendere di più per i nuovi modelli rischia di farli scappare. Sam Altman, il capo dell’azienda, dice di non voler puntare sulla pubblicità come Google (comprometterebbe la credibilità delle ricerche), meglio forse usare la piattaforma per l’e-commerce: dalle ricerche si arriva ai prodotti da comprare. O forse si può far pagare chi incorpora ChatGpt nei suoi servizi. O magari vendere i dati sulle ricerche degli utenti, che ora sono immagazzinati in modo più esplicito. A seconda del modello di business, cambierà l’intera infrastruttura della conoscenza e della produttività nei prossimi anni. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati