Mentre il Brasile si prepara alla Conferenza delle Nazioni unite sul clima (Cop30), che si terrà a Belém, le forze che operano per la distruzione incrementano il loro potere all’interno del paese che ospita la più grande pianura alluvionale del pianeta, il Pantanal, e il 60 per cento della più grande foresta tropicale del mondo, l’Amazzonia, oltre ad altri biomi essenziali per la vita sulla Terra.
Il senato brasiliano il 21 maggio ha approvato la legge generale per le licenze ambientali, che in pratica cancellerà ogni regolamentazione per una grande quantità di progetti, dall’ampliamento delle centrali idroelettriche e delle autostrade fino alla produzione di carne e soia. Se il “progetto di legge della devastazione”, come lo chiamano i critici, sarà approvato anche dalla camera, in Brasile potrebbe diventare impossibile controllare la deforestazione e impedire che l’Amazzonia raggiunga il punto di non ritorno, con conseguenze drammatiche per tutto il pianeta.
Il 21 maggio è stata approvata la legge per le licenze ambientali, che cancellerà ogni regolamentazione per vari progetti, dalla produzione di carne alla deforestazione
I ricercatori e gli ambientalisti pensano che la legge rappresenti il peggior passo indietro legislativo degli ultimi quarant’anni. Nella maggior parte dei casi, invece di dover presentare studi d’impatto ambientale e un piano per mitigare gli effetti del progetto, come prevede la legge attuale, le aziende si concederanno da sole le licenze oppure non saranno tenute ad averle. Gli ecologisti sottolineano che a un’azienda basterà schiacciare un bottone per autorizzarsi a distruggere l’ambiente.
Fin da quando sono state introdotte le prime norme che costringevano le aziende a ridurre l’impatto ambientale per ottenere l’approvazione di un progetto, le élite predatorie del Brasile hanno dato battaglia sbandierando l’argomentazione degli “ostacoli allo sviluppo”. Nessuno usa questo pretesto con la stessa passione della destra e dell’estrema destra, ma anche parte della sinistra oggi sembra convinta che la protezione dell’ambiente ostacoli il progresso, come dimostra il fatto che il presidente Luiz Inácio Lula da Silva abbia difeso personalmente un progetto per l’apertura di un nuovo fronte nello sfruttamento petrolifero in Amazzonia.
La legge sulle licenze ambientali era stata presentata in origine nel 2004 dall’ex deputato Luciano Zica del Partito dei lavoratori, lo stesso di Lula, ma da allora è stata presa in ostaggio, cannibalizzata e sfigurata. Nel corso degli anni il progetto, nato dalla consapevolezza di dover migliorare le norme esistenti, si è trasformato in un meccanismo per favorire le aziende. E la legge è stata votata da un parlamento che è palesemente ostile alla difesa dell’ambiente.
L’Istituto per la rappresentanza e la legittimità democratica, parte del programma nazionale per la scienza e la tecnologia del Brasile, ha creato il Co2-Index, un indice che misura il contributo di ogni deputato federale all’aumento o alla riduzione delle emissioni dei gas che causano il riscaldamento globale. I risultati evidenziano che nella legislatura precedente, attiva tra il 2019 e il 2022, 93 voti sui 165 analizzati sono stati favorevoli a proposte che avrebbero provocato un aumento delle emissioni. I deputati della destra legati ai gruppi parlamentari che difendono gli interessi dell’industria agricola e mineraria sono stati quelli a “emettere” la quantità maggiore di gas serra con le loro decisioni. Riassumendo: durante il governo di estrema destra guidato da Jair Bolsonaro il processo legislativo ha avuto un impatto decisivo nel peggioramento della crisi climatica.
Il congresso attuale si sta rivelando ancora più dannoso. In questo caso la sua grande nemica è la ministra dell’ambiente e del cambiamento climatico Marina Silva, che ha saputo ridurre la deforestazione e oggi rappresenta all’interno del governo di Lula la voce principale contraria ai progetti di devastazione. Il suo ministero è diventato un’enclave di resistenza in un governo che non riesce a far passare le sue leggi al congresso e deve affrontare la scarsa popolarità di Lula a un anno e mezzo dalle prossime presidenziali, mentre l’estrema destra si sta organizzando per tornare al potere.
La nuova legge che sarà sottoposta al parlamento viene considerata una sorta di rappresaglia contro Marina Silva, colpevole di aver impedito ripetutamente alla Petrobras, l’azienda petrolifera statale brasiliana, di aprire un nuovo fronte nello sfruttamento in Amazzonia. Alla vigilia della votazione della “legge della devastazione” nelle commissioni del senato, Silva ha capitolato. Il 19 maggio l’agenzia per l’ambiente del Brasile ha approvato una prima fase della ricerca di petrolio alla foce del Rio delle Amazzoni, concedendo un’autorizzazione che in precedenza era stata sempre negata. Coincidenza o compromesso? Comunque sia, si tratta di una pessima notizia per la foresta e per tutto il pianeta. ◆ as
Questo articolo è uscito sul quotidiano spagnolo El País.
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Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati