Nel corso degli anni è diventato evidente: il Libano non avrebbe avuto la minima possibilità di aspirare alla pace, alla stabilità e alla prosperità finché Hezbollah fosse rimasto una forza dominante.
La stessa constatazione si poteva fare al livello regionale. Non si sarebbe potuto sperare in niente di positivo finché l’Iran, con i suoi alleati, fosse stato non la forza dominante, ma quella con la più vasta capacità di nuocere in Medio Oriente. Alla sua popolazione e a quelle della regione il regime non aveva altro da offrire che un cocktail di propaganda e repressione che in alcuni momenti, è vero, sapeva essere molto ingegnoso e seducente.
La fine dell’era iraniana è una benedizione per il Medio Oriente. Ma non illudiamoci: l’avvento di quella israeliana è una vera maledizione
Ma detto questo, quali conclusioni si possono trarre? Dobbiamo accontentarci del fatto che l’attacco lanciato il 13 giugno da Israele, ultima tappa di una guerra dichiarata da decenni, possa portare alla caduta del regime iraniano? Dobbiamo chiudere gli occhi sul fatto che si tratta di una palese violazione del diritto internazionale, e che è stato sferrato da un paese nello stesso tempo impegnato a realizzare (come minimo) una pulizia etnica a Gaza, a proseguire la sua impresa di colonizzare la Cisgiordania e a intervenire militarmente in totale impunità in Siria e in Libano? L’ostilità legittima verso il regime iraniano può farci ignorare le lezioni della storia (in particolare quella dell’intervento statunitense in Iraq), che hanno dimostrato come l’uso sproporzionato e illegittimo della forza non faccia altro se non rafforzare il caos che i suoi promotori pretendono di combattere?
Sarebbe un errore di calcolo. Uno sbaglio etico e politico. In primo luogo perché non si può ignorare il diritto internazionale quando ci fa comodo, e difenderlo a spada tratta il resto del tempo. Il ricorso alla forza può essere inevitabile di fronte a un paese che non comprende nessun altro linguaggio. Tuttavia, nel caso in questione sia la tempistica sia le motivazioni dell’attacco israeliano sono discutibili, anche se la Repubblica islamica aveva effettivamente accelerato l’arricchimento del suo uranio.
In secondo luogo, perché non possiamo da un lato rimproverare a una potenza di essere stata per decenni una fonte di destabilizzazione e parallelamente applaudire quella che la sconfigge incendiando e insanguinando la regione. L’Iran è uno stato canaglia, ma Israele non ha nulla da invidiargli su questo piano, se non che tratta la propria popolazione, a parte i palestinesi, con molto più riguardo.
Infine, perché Israele non ha nulla da offrire alla regione se non la legge del caos e del più forte. La sua guerra, motivata da una volontà di vendicarsi degli attentati commessi da Hamas il 7 ottobre e di ridisegnare il volto del Medio Oriente, è una corsa verso l’abisso. Israele non ha i mezzi per distruggere da solo il programma nucleare iraniano e vuole coinvolgere Washington in un conflitto che infiammerebbe tutta l’area. Qual è il suo obiettivo finale? Bombardare il regime iraniano fino alla sua capitolazione? Eliminarne tutti i rappresentanti fino a trovarne uno che chieda pietà? E se con il passare dei giorni e delle settimane questo scenario non si realizzerà, se Teheran non rinuncerà alle sue ambizioni nucleari e gli Stati Uniti si rifiuteranno d’intervenire, Benjamin Netanyahu metterà fine a una guerra che, al pari di quella di Gaza, avrà messo in luce i limiti del suo strapotere?
Anche ipotizzando che Israele riesca a realizzare i suoi obiettivi e che il regime di Teheran alla fine crolli, cosa succederà dopo? Chi organizzerà la transizione del potere in un paese in rovina, con 90 milioni di abitanti e una superficie che è 65 volte quella d’Israele? Come si può immaginare che un tale risultato possa portare a qualcosa di diverso da un caos generalizzato che supererà ampiamente le frontiere dell’Iran?
La fine dell’era iraniana è una benedizione per il Medio Oriente. Ma non illudiamoci: l’avvento di quella israeliana è una vera maledizione. L’Iran non ha le risorse che hanno trasformato Israele in una potenza né il sostegno incondizionato dell’occidente. L’Iran, al contrario di Israele, non avrebbe potuto mettere in atto la volontà di cancellare un popolo e cambiare il volto della regione. È vero, in questi ultimi vent’anni la Repubblica islamica è stata il problema principale della regione. Lo stato ebraico non si è accontentato di contenderle la palma d’oro, l’ha battuta alla grande.
Israele è indiscutibilmente più forte e le sue abilità tecnologiche impressionano il mondo. Ma nessun predominio, per quanto solido, può fondarsi per sempre su un tale squilibrio e una tale ingiustizia. Ci vorranno anni o decenni, ma se non cambierà nulla Israele finirà (come l’Iran) per essere divorato dalla sua tracotanza. Nel frattempo noi rischiamo di pagare, ben oltre le frontiere del Medio Oriente, il prezzo della sua follia. ◆ fdl
Questo articolo è uscito su L’Orient-Le Jour.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati