Il dibattito sul riarmo europeo sembra richiedere uno schieramento netto: a favore o contro. Una polarizzazione che quasi cancella la discussione sul “come” possa e debba avvenire. Dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 gli stati hanno dovuto salvare le banche per la loro rilevanza sistemica, ma hanno imposto più vincoli ai bilanci e tetti agli stipendi dei manager. Con la crisi energetica seguita all’invasione russa dell’Ucraina molti governi hanno cercato di recuperare parte dei profitti ottenuti dalle aziende energetiche grazie alle oscillazioni del prezzo del gas. Vale la pena porsi le stesse questioni per le imprese che beneficiano dell’aumento di ordini dovuto ai rischi geopolitici. Dal 2016 la Leonardo, l’azienda di armi partecipata dal ministero del tesoro, ha pagato dividendi di 14 centesimi per azione; nel 2023 è salita a 28, l’anno dopo a 52. Lo stipendio dell’amministratore delegato Roberto Cingolani è passato da 953mila euro nel 2023 a 1,9 milioni nel 2024; quello del presidente Stefano Pontecorvo da 252mila a 490mila euro. Anche chi è favorevole o rassegnato al riarmo dovrebbe farsi qualche domanda: se è sbagliato che le banche guadagnino scaricando i costi sul pubblico, non è altrettanto problematico che ci sia chi trasforma un pericolo per tutti in una fonte di profitto per pochi? ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 105. Compra questo numero | Abbonati




