La mattina del 28 novembre, quando gli investigatori dell’Ufficio nazionale anticorruzione dell’Ucraina (Nabu) si sono presentati nei palazzi del potere di Kiev, il presidente Volodymyr Zelenskyj è stato messo con le spalle al muro. Dieci agenti hanno perquisito l’abitazione di Andrij Jermak, il suo onnipresente capo di gabinetto. Negli ultimi giorni la stampa ucraina ha avanzato ipotesi sempre più concrete su un coinvolgimento di Jermak nel più grande scandalo di corruzione della storia recente del paese. Le rivelazioni hanno costretto Zelenskyj ad allontanare due stretti collaboratori: il suo amico Timur Mindič, probabile burattinaio dell’intera vicenda, scappato all’estero prima di essere arrestato; e Jermak, il suo braccio destro. Zelenskyj lo ha protetto fino all’ultimo, ma quando è stata perquisita la sua abitazione, ha dovuto cedere, anche perché era a rischio il suo stesso potere. Nel giro di poche ore Jermak ha dovuto presentare le dimissioni, accettate con effetto immediato.

Non è esagerato sostenere che, con questi ultimi eventi, nella politica ucraina si chiude un’era. Dopo l’invasione russa, nel febbraio 2022, Jermak era diventato praticamente insostituibile per Zelenskyj: i suoi detrattori lo chiamavano il “presidente ombra”. Senza incarichi ufficiali, ma con la piena fiducia del presidente, guidava i negoziati con gli alleati occidentali, distribuiva gli incarichi ministeriali e decideva chi poteva parlare direttamente con Zelenskyj. Si dice che nelle prime settimane di guerra i due abbiano passato alcuni giorni nello stesso bunker.

Eppure, la cacciata del secondo uomo più potente dell’Ucraina ormai era solo una questione di tempo. Da settimane, infatti, gli investigatori del Nabu indagavano su persone della cerchia più stretta del presidente. A quanto pare alcune avevano preso tangenti per un valore di 93 milioni di euro da aziende interessate a vincere gli appalti della compagnia energetica di stato Energoatom.

Pochi giorni fa gli agenti hanno interrogato anche Rustem Umjerov, ex ministro della difesa e attuale segretario del consiglio per la sicurezza dell’Ucraina, per ora solo in veste di testimone. Umjerov avrebbe parlato di appalti pubblici nel settore della difesa vinti da imprenditori con agganci nell’entourage del presidente Zelenskyj. Ancora non si è capito se Jermak sia coinvolto personalmente nello scandalo, anche perché formalmente non è stato ancora accusato di nulla. Ma per molti è impossibile che potesse essere all’oscuro di tutto, almeno per quanto riguarda la Energoatom.

Nel paese Zelenskyj ha ricevuto forti pressioni per prendere le distanze da Jermak. I primi a chiedere le dimissioni del capo di gabinetto sono stati i politici dell’opposizione, a cui poi si è unito anche il partito di governo, Servitore del popolo (Sluha narodu in ucraino). Contro Jermak si sono schierati Bohdan Jaremenko, una figura di primo piano nel partito, e soprattutto il capogruppo Davyd Arachamija. Zelenskyj rischiava di perdere il controllo del partito e quindi anche del parlamento.

Opzioni possibili

Anche per quanto riguarda il sostegno internazionale, Zelenskyj non aveva alternative. Lo scandalo ha indebolito un paese già sfinito dalla guerra, e in Ucraina molti hanno l’impressione che il presidente statunitense Donald Trump abbia cercato di sfruttare l’occasione per imporre agli ucraini una pace troppo favorevole alla Russia. In una situazione simile, un rimpasto di governo potrebbe servire a rafforzare la posizione di Kiev.

Anche l’Europa ha accolto con favore la decisione di Zelenskyj di smarcarsi da Jermak. E poi le recenti indagini dell’ufficio anticorruzione dimostrano che l’Ucraina rimane uno stato di diritto anche in tempo di guerra. Nelle capitali europee si sente dire che in fondo quello che è successo è un buon segno per la democrazia ucraina. Tuttavia, è troppo presto per capire quali saranno le conseguenze politiche della vicenda per il paese.

Il piano di pace
Cosa vuole Washington

“Aottobre tre importanti uomini d’affari –due statunitensi e un russo – sono al lavoro su un computer. Sono a Miami e stanno elaborando un piano per mettere fine alla lunga e sanguinosa guerra della Russia contro l’Ucraina”. Comincia così l’inchiesta del Wall Street Journal sull’iniziativa diplomatica lanciata a fine novembre dalla Casa Bianca per risolvere la crisi ucraina. “Ma i loro veri obiettivi sono altri. I tre stanno tracciando una strada per riallacciare i rapporti con l’economia russa e garantire un vantaggio nella distribuzione degli utili alle aziende americane rispetto a quelle europee. Nella sua villa sul mare, l’immobiliarista miliardario Steve Witkoff, inviato speciale di Wash­ington, ospita Kirill Dmitriev, capo del fondo sovrano russo e negoziatore scelto personalmente da Vladimir Putin, il vero autore del documento su cui si sta lavorando. Il terzo uomo è Jared Kushner, genero del presidente americano Trump. Dmitriev spinge per un piano che consenta alle aziende statunitensi di attingere ai 300 miliardi di dollari di beni russi congelati in Europa, per finanziare progetti d’investimento congiunti russo-americani e la ricostruzione dell’Ucraina, affidata agli Stati Uniti”.

Come scrive il giornale finanziario, “i colloqui di Miami sono l’apice di una strategia per aggirare il tradizionale apparato di sicurezza statunitense e convincere l’amministrazione a considerare la Russia non come una minaccia militare, ma come ‘una terra di opportunità’”. Witkoff e Dmitriev condividono l’approccio alla geopolitica di Trump: “Gli affari contano più dei confini”. D’altra parte, scrive il quotidiano, per la Casa Bianca mescolare affari e geopolitica è la prassi, e gli investitori americani sono da sempre considerati “garanti commerciali della pace”. Il risultato di queste manovre è il piano in 28 punti, poi ridotti a 19, presentato da Trump il 20 novembre, criticato da Europa e Ucraina, e attualmente oggetto dei negoziati tra Wash­ington, Kiev e Mosca. ◆


Jermak aveva un ruolo cruciale in un gran numero di questioni, sul fronte interno come su quello internazionale, cosa che rende difficile trovare rapidamente un sostituto. Inoltre, dopo aver fatto un nuovo appello all’unità del paese, Zelenskyj ha annunciato una riorganizzazione più ampia del governo.

Un’opzione possibile sarebbe assegnare alla prima ministra Julija Svyrydenko, in carica da luglio, il posto lasciato da Jermak, e nominare capo ad interim del governo l’attuale vicepremier e ministro della transizione digitale Mychajlo Fedorov, uno dei pochi politici che non dovevano passare attraverso Jermak per aver accesso al presidente. Per Svyrydenko come per Fedorov si tratterebbe di una promozione. A lungo considerata una sua fedelissima, nelle ultime settimane la prima ministra si era allontanata da Jermak proprio per lo scandalo di corruzione. In primavera aveva guidato i difficili negoziati con l’amministrazione statunitense sul tema dell’accesso alle materie prime ucraine, riuscendo a spuntare un accordo migliore rispetto alla bozza di partenza.

Un terzo possibile candidato è Pavlo Palisa, ex maggiore dell’esercito e vice capo di gabinetto di Zelenskyj. Nelle forze armate molti accoglierebbero con favore la sua nomina. Palisa, 40 anni, è considerato un soldato di nuova generazione, che conosce bene i problemi dell’esercito grazie alla sua esperienza di comandante.

Chiunque sia scelto, solo nei prossimi giorni si capirà se l’Ucraina uscirà rafforzata o indebolita da questa crisi. Con le dimissioni di Jermak, Zelenskyj ha evitato una serie di rischi. Ma ha ancora di fronte le sfide più complicate. ◆ sk

Da sapere

◆ L’esercito russo continua a bombardare le città ucraine con droni e missili. Tra il 29 novembre e il 2 dicembre 2025 sono state colpite le regioni di Kiev, Dnipropetrovsk, Cherson e Zaporižžja. Negli attacchi sono morte undici persone e più di 110 sono rimaste ferite. L’esercito ucraino ha risposto colpendo raffinerie, fabbriche di armi e infrastrutture energetiche nel sud della Russia, oltre ad alcune navi nel mar Nero, appartenenti alla flotta fantasma usata da Mosca per trasportare il petrolio. The Kyiv Independent


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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati