Sono un po’ dispiaciuta nello scoprire che le copie dei libri della casa editrice Italo Svevo non arrivano più intonse in libreria. Era diventato un rito riconoscibile dividerle con il tagliacarte (oltre a darmi una scusa per possedere un utensile proveniente da un altro secolo). Pazienza. Corpi di Cristo è un romanzo breve, acuminato, pensato per scavare a fondo e per smuovere qualcosa nel lettore. Il protagonista del libro conosce Nilo al liceo, in una Verona anni ottanta, dove il clima politico spiega la vita e la vita spiega il clima politico. C’è la tossicodipendenza, la famiglia perbene, il cattolicesimo che è fede, giudizio e colpa. I due ragazzi cominciano a muovere i primi passi nel mondo, ma lo fanno nel modo sbagliato, e il loro incedere è sbilanciato da un contesto sociale in cui l’intolleranza verso tutti – senzatetto, tossici, prostitute, emarginati, omosessuali – toglie equilibrio, definisce, incide da dentro. La scrittura di Massimo Cracco, al suo secondo romanzo, ha un movimento vorticoso da flusso di coscienza e ossessivo nello sviscerare i dettagli. È uno stile veloce e preciso nel cogliere le minuzie, svelando in poche righe l’essenziale della natura umana, dei rapporti sociali. Corpi di Cristo non è un libro che spiega. Semmai mostra. Non tanto il corpo fisico, quanto quello mistico della provincia veneta. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati