L’ultima edizione dell’Isola dei famosi non ha fatto prigionieri. Il giornalista e giocatore di poker Mario Adinolfi è stato ricoverato per aver perso molti chili in pochi giorni, l’attrice Loredana Cannata ha avuto problemi di cuore dopo essere quasi affogata e l’ex parlamentare europeo Dino Giarrusso ha lamentato forti dolori costali a seguito della fatidica “prova del serpente”, una versione balneare degli addestramenti della Folgore. L’isola, alla sua diciannovesima stagione, nasce da un’idea sadica ma cinematografica: osservare il declino fisico e morale di corpi abituati al comfort. A differenza dei reality psicologici, la sorte dei naufraghi ammicca alle tecniche di sopravvivenza militare, e la catarsi passa per l’intrattenimento punitivo: ti sei fatto vedere in costume? Ora mostra quanto vali senza mangiare. Vuoi la redenzione televisiva? Guadagnatela con la disidratazione. Il pubblico esalta i forti, si commuove per i fragili, emargina i “disertori”. E l’ego post-sbarco esplode, nel tentativo di testimoniare che l’anima – stremata dalla carenza di magnesio e da una competizione feroce – resiste limpida come il mare che circonda l’atollo. Un curioso ibrido tra trincea e club di motivatori. Ma, per quanto il racconto del reality insista sulle lacerazioni psicologiche e le dinamiche relazionali, e noi spettatori ci convinciamo che le metafore non siano altro che abiti leggeri, alla fine a giocare ai soldati ci si fa male sul serio. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 110. Compra questo numero | Abbonati