In questi lunghi ventuno mesi della guerra genocida di Israele a Gaza, in tutto il mondo si sono levate voci che hanno denunciato il fallimento del diritto internazionale e dell’ordine basato su regole condivise. È svanita ogni parvenza di adesione israeliana al diritto internazionale, e oggi vengono sfacciatamente annunciate politiche che costituiscono crimini di guerra. All’inizio di luglio il ministro della difesa israeliano Israel Katz ha parlato di un piano per trasferire con la forza i palestinesi in un campo allestito sulle rovine di Rafah. Una volta entrati, non potranno più uscirne. In altre parole: un campo di concentramento, dove per definizione vengono internati esponenti di un gruppo nazionale (ma anche prigionieri politici o gruppi minoritari) presentando ragioni di sicurezza o punitive, di solito tramite un ordine militare.
Secondo Michael Sfard, avvocato israeliano per i diritti umani citato dal Guardian, Katz “ha presentato un piano operativo per un crimine contro l’umanità”. Centinaia di persone sono state uccise e migliaia ferite mentre cercavano di procurarsi da mangiare.
Ho cercato di capire l’incomprensibile sofferenza vissuta dai palestinesi a Gaza e come sia possibile che la maggioranza degli israeliani non riconosca la loro umanità. Come fanno a non provare nessun rimorso per quello che il loro esercito sta compiendo in loro nome? Io credo che il seme della nostra disumanizzazione sia stato piantato durante la guerra arabo-israeliana del 1948. Con la giustificazione che quella terra era stata data da dio al popolo ebraico, i palestinesi furono violentemente espropriati delle terre, delle proprietà e dei beni in quella che poi avremmo chiamato la Nakba (la catastrofe in arabo). Da quel momento gli israeliani hanno potuto usare le case, le terre e i frutteti arabi senza nessun senso di colpa. Gli attacchi del 7 ottobre 2023 sono stati l’inizio della guerra, ma gli israeliani per decenni hanno sistematicamente umiliato ed espropriato il popolo palestinese.
Queste violazioni del diritto internazionale provocano un senso di sconforto per l’incapacità delle istituzioni di impedire gli orrori delle azioni israeliane nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e di chiederne conto ai responsabili. La Corte penale internazionale, sostenuta dalle Nazioni Unite, ha emesso dei mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e per l’ex ministro della difesa Yoav Gallant accusati del “crimine di guerra di imporre la fame come metodo di guerra e dei crimini contro l’umanità di omicidio, persecuzione e altri atti disumani”. Nessun arresto è stato eseguito. L’occidente continua a fornire a Israele sostegno militare e politico. Mi chiedo se noi palestinesi dovremmo sentirci impotenti di fronte a questo fallimento.
Attaccati alla terra
La verità è che il diritto internazionale, pur se è usato come metro di misura e punto di riferimento dalle organizzazioni per i diritti umani, non è mai stato la salvezza della Palestina. Fin dalla mancata applicazione della risoluzione 194 dell’Onu del 1948, che riconosceva ai rifugiati palestinesi il diritto a tornare alle loro case in quello che era diventato Israele, siamo stati ripetutamente delusi.
Questo non è dovuto al mancato tentativo dei palestinesi di rivolgersi, nel corso degli anni, ai tribunali israeliani, alle corti internazionali o a terze parti. Una semplice ragione del loro fallimento è stata la mancanza di mezzi efficaci per applicare il diritto internazionale. Ragioni più complesse hanno a che fare con gli interessi dei potenti. Ripongo la mia speranza nella resilienza palestinese.
In molti speravano o si aspettavano che i palestinesi dimenticassero la loro terra nel giro di una generazione o due. Non è stato così. A distanza di settantasette anni, i palestinesi sono attaccati alla terra da cui sono stati espulsi come in quei primi giorni sanguinosi.
Allo stesso modo, malgrado tutti i cambiamenti illegali, l’ampliamento degli insediamenti ebraici e l’alterazione della geografia della mia terra, la Cisgiordania, noi palestinesi continuiamo a custodire la pratica che chiamiamo sumud: rifiutare di arrendersi o andarsene. Non posso parlare a nome dei palestinesi di Gaza, ma vedo che condividiamo lo stesso spirito nonostante l’immensità della loro sofferenza.
Quando la guerra finirà e potranno entrare a Gaza giornalisti e organizzazioni internazionali, verrà fuori la verità. Le strazianti testimonianze di chi vive lì – donne, uomini e bambini, artisti, scrittrici e poeti le cui vite sono state stroncate o trasformate irrimediabilmente – potrebbero ancora perseguitare gli israeliani. Sarà la nostra umanità, non il diritto internazionale, a giudicare Israele e i suoi alleati e a chiedergli conto delle loro azioni. In modo diverso, ma non meno evidente, i cambiamenti illegali e unilaterali applicati da Israele in Cisgiordania, spesso con l’aiuto delle milizie dei coloni, sveleranno l’avidità di Israele per la terra e le sue politiche ideologiche.
Forse l’esempio migliore dell’assurdità delle azioni di Israele è il caso della città vecchia di Hebron, tenuta in ostaggio da un piccolo gruppo di novecento estremisti ebrei che vivono nel centro della seconda città palestinese più grande della Cisgiordania, dove abitano 232.500 persone. La popolazione ebraica è protetta giorno e notte da più di mille soldati israeliani. Per permettere ai coloni e ai soldati di spostarsi liberamente, le restrizioni imposte al movimento dei palestinesi comprendono decine di checkpoint fortificati, posti di blocco e postazioni militari permanenti e temporanee. La città vecchia è stata praticamente svuotata della sua popolazione palestinese. È sostenibile?
Quanto al futuro di Gaza, sarà cruciale chiedersi se la terra potrà continuare a sostenere la vita dopo la distruzione di terreni agricoli, fonti d’acqua, ospedali e scuole.
La comunità mondiale che è stata vergognosamente incapace di far rispettare il diritto internazionale potrebbe fare la differenza su questo punto se pretenderà che, dopo la fine delle ostilità, Israele consenta l’apertura della Striscia di Gaza e assicuri l’ingresso degli aiuti per permettere ai palestinesi di continuare a vivere lì durante la ricostruzione dell’area.
Gaza ha una storia di quattromila anni di ininterrotta presenza umana. Il tentativo di Israele di cancellarne la vita è destinato a fallire. I palestinesi troveranno un modo per sopravvivere, con o senza l’aiuto di altri. ◆ fdl
Mentre i mediatori cercano di superare le divergenze tra Israele e Hamas per sbloccare i colloqui su una tregua nella Striscia di Gaza, l’esercito di Tel Aviv colpisce il territorio palestinese, causando ogni giorno decine di vittime. Il 13 luglio 2025 sono morte dieci persone in fila per l’acqua e qualche giorno prima altre quindici davanti a un centro sanitario. Il 15 luglio le Nazioni Unite hanno fatto sapere che nelle ultime sei settimane almeno 875 palestinesi sono morti vicino ai centri di distribuzione degli aiuti nella Striscia.
Israele e Hamas si accusano a vicenda di bloccare i negoziati, avviati a Doha il 6 luglio da Qatar, Stati Uniti ed Egitto. Secondo un’analisi di Haaretz, l’obiettivo del premier Benjamin Netanyahu però non è cambiato: vuole restare al potere e questo significa mantenere la coalizione di governo. Quindi per ora cercherà di arrivare alla pausa estiva del parlamento a fine luglio e poi potrebbe accettare un accordo in due fasi per accontentare gli Stati Uniti. Ma, come in passato, secondo il giornale a un certo punto riprenderà la guerra per non perdere gli alleati di estrema destra. In questo senso Netanyahu sta portando avanti il piano di trasferire i palestinesi di Gaza in quello che un editoriale del giornale israeliano chiama “campo di concentramento” dove un tempo sorgeva la città di Rafah.
Intanto il 9 luglio il segretario di stato statunitense Marco Rubio ha annunciato sanzioni contro Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, che la settimana precedente aveva presentato al Consiglio dei diritti umani un rapporto che esamina “i meccanismi delle aziende che sostengono il progetto coloniale israeliano di trasferimento e sostituzione dei palestinesi”. Il 13 luglio è partita da Siracusa, in Sicilia, la Handala, una nuova imbarcazione della Freedom flotilla coalition (Ffc) carica di aiuti umanitari per la Striscia di Gaza. Poco più di un mese fa Israele aveva intercettato una prima barca dell’Ffc. ◆
Raja Shehadeh è un avvocato e scrittore palestinese. Ha fondato l’organizzazione per la difesa dei diritti umani Al Haq. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Che cosa teme Israele dalla Palestina? (Einaudi 2024).
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Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati