Nel cimitero dei programmi mai fatti riposa un format turco di qualche anno fa che non so come mi sia sfuggito, vista la mia passione molto mondana per le trasmissioni a carattere religioso. Il reality _I penitenti competono _metteva in una stanza dieci atei certificati e quattro rappresentanti di diverse religioni – un imam, un prete, un rabbino e un monaco buddista – con lo scopo di convertirne almeno uno. Il premio consisteva in un pellegrinaggio: la Mecca, Città del Vaticano, Gerusalemme o il Tibet, a seconda della fede scelta. La convinzione dei dirigenti di Kanal T era di “accendere il credo negli scettici” e di far conoscere al pubblico turco le grandi religioni. Ambizioni complicate dal tono generale di slogan più adatti a una televendita spirituale, come: “Il premio più grande è credere in Dio”. La polemica, come era prevedibile, bruciò i tempi. Il capo dell’autorità religiosa di Istanbul e la comunità ebraica si dissociarono, accusando il canale di proselitismo, e il Diyanet, il potente ufficio statale per gli affari religiosi, negò il permesso agli imam turchi di partecipare. Alla fine le pressioni politiche decretarono la morte prematura del programma, con il cast avviato e duecento atei pronti a imboccare la via di Damasco. L’unico a non rilasciare veti fu il Vaticano, forse per la serena e secolare consapevolezza che i miscredenti si convertono, in autonomia e con il minimo sforzo, solo nell’ultima puntata. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati