**◆ **Com’è adattabile il nostro cervello. Più o meno da una settantina d’anni ho imparato a stringere la mano in segno di saluto perfino alle persone moderatamente antipatiche. Più o meno da una sessantina d’anni mi sono addestrato a una stretta non fiacca ma vigorosa. Più o meno da una trentina d’anni ho appreso che la mano tesa è un antico segnale di non belligeranza. Bene, tutta questa competenza velocemente è sbiadita. Otto mesi fa stringevo mani senza problemi. Poi, dopo qualche tentennamento, sono passato a esclamare ridendo nervosamente: vieni qua, pazienza se mi contagi. Quindi, in risposta a una mano francamente tesa, ho cominciato ad alzare le braccia dicendo: scusa, meglio di no. Ora mi viene del tutto naturale tenermi a una distanza tale che il reciproco tendersi la mano è impossibile. Il cervello si è un po’ arruffato, ma ha trovato un suo nuovo equilibrio. Non che il vecchio rito sia stato dimenticato o sostituito sul serio con il ridicolo strofinio di gomiti. Ma è lì in un angolo come una bella cosa pericolosa che una volta si faceva avventatamente. Ormai anche nei sogni sono mascherato, con le mani in tasca, e non mi sorprendo. L’altra sera, poi, guardavo in tv un vecchio film con Spencer Tracy e Katharine Hepburn, quando per una frazione di secondo ho pensato: “Sono pazzi quei due? Se ne stanno a dieci centimetri di distanza e non hanno la mascherina?”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1380 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati