Un proverbio africano riassume bene la situazione: quando due elefanti combattono, l’erba soffre. I due elefanti, in questo caso, sono la Cina e gli Stati Uniti, mentre l’erba è il resto del mondo.
La guerra commerciale scatenata dal presidente statunitense Donald Trump si somma, nel caso della Cina, alla rivalità tra superpotenze, rendendola più violenta e pericolosa. A due settimane da un incontro fra Trump e il leader cinese Xi Jinping a Seoul, in Corea, a margine del vertice Asia-Pacifico, Pechino ha deciso di tirare fuori l’artiglieria pesante per influenzare il rapporto di forze.
Ha decretato l’extraterritorialità delle sue restrizioni alle esportazioni di terre rare, i minerali strategici che troviamo un po’ ovunque, nei dispositivi elettronici come nelle armi. Questo significa, per esempio, che se un’azienda francese userà lo 0,1 per cento di terre rare provenienti dalla Cina in un prodotto, dovrà ottenere l’autorizzazione di Pechino per esportarlo, anche verso un paese terzo. Inutile dire che la mossa del governo cinese ha mandato Trump su tutte le furie.
Esiste però un precedente di un provvedimento simile, ed è statunitense! La Cina, infatti, ha semplicemente preso spunto dai metodi che gli Stati Uniti hanno adottato contro Pechino, per esempio con il produttore di apparecchiature per le comunicazioni Huawei. Gli statunitensi sono abituati a imporre l’extraterritorialità, ma probabilmente pensavano che non ne sarebbero mai stati vittime, alla luce della loro potenza economica e di quella del loro mercato. La Cina ha appena dimostrato che si sbagliavano.
La mossa cinese potrebbe creare gravi difficoltà a molte aziende, non solo negli Stati Uniti, perché Pechino domina il settore del raffinamento delle terre rare. Se la misura sarà applicata rigidamente, l’industria statunitense potrebbe ritrovarsi a corto di minerali difficilmente sostituibili.
Negli ultimi anni, davanti alle minacce alle catene di approvvigionamento provocate da crisi come la pandemia di covid-19, la guerra in Ucraina o le tensioni con la Cina, gli occidentali hanno avviato una manovra di riduzione del rischio, derisking, come la chiamano gli specialisti. Hanno cercato cioè di ridurre la dipendenza dall’estero. Il problema è che americani ed europei sono ancora lontani dall’obiettivo, un ritardo che permette alla Cina di colpire dove fa più male.
Timori in borsa
Xi ha capito che con Trump non bisogna mai porgere l’altra guancia. E così la Cina risponde colpo su colpo, sorprendendo un presidente che non è abituato a incontrare resistenze.
La strategia di Pechino risulta particolarmente astuta in vista del vertice di Seoul. Trump ha reagito minacciando di annullare l’incontro e imporre dazi del 100 per cento sui prodotti cinesi, ma così facendo ha spaventato la borsa, che è crollata. “Non abbiate paura della Cina”, ha esortato Trump rivolgendosi agli investitori, che oltre a Pechino temono anche il proprio presidente irrequieto.
Quanto al resto del mondo, è ostaggio di questo braccio di ferro tra i due giganti. Oggi rischiamo di diventare vittime collaterali di una guerra commerciale sino-statunitense che non abbiamo scatenato ma che in parte avviene a nostre spese. Per fare un esempio, i prodotti cinesi che non raggiungono gli Stati Uniti a causa dei dazi troppo alti stanno invadendo i mercati dell’Europa e del sudest asiatico.
La globalizzazione si basa sull’idea dell’interdipendenza, ma c’è un rovescio della medaglia: questa integrazione ha creato nuove dipendenze, potenzialmente disastrose.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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