A quanto pare non è così grave che i mercati mondiali abbiamo perso 1.500 miliardi di dollari all’inizio della settimana. Secondo il presidente statunitense Donald Trump, il leader cinese Xi Jinping ha solo avuto “un momento di debolezza” quando ha imposto nuovi limiti alle esportazioni di terre rare. Anche Trump sembra avere avuto una giornata storta, dato che ha reagito annunciando dazi del 100 per cento sulle importazioni dalla Cina. Le borse sono crollate e il dollaro si è svalutato.

In realtà lo scontro tra Cina e Stati Uniti non è frutto di un capriccio, ma la logica conseguenza del fatto che sono economicamente interdipendenti, ma politicamente puntano ciascuno sul declino dell’altro. Il problema è che questa guerra commerciale non ha senso. I dazi non colpiscono solo l’avversario, ma anche chi li impone. Il semplice annuncio di nuove barriere commerciali riduce gli investimenti e indebolisce le catene di approvvigionamento. Alla fine entrambe le parti perdono, e insieme a loro una grossa parte del commercio globale. Invece di spezzare questo circolo vizioso, Washington e Pechino continuano ad agire in base alle logiche di politica interna sacrificando la razionalità economica, e alla fine ci rimettono tutti.

Allora perché non si può trovare un compromesso? Perché entrambi i paesi sono in una situazione difficile. Gli Stati Uniti hanno bisogno delle fabbriche e delle terre rare cinesi, mentre la Cina ha bisogno della tecnologia e dei mercati statunitensi. Ma dopo le accuse reciproche degli ultimi mesi, ammettere questa realtà è diventato impossibile. Con la loro retorica aggressiva, Washington e Pechino si sono infilate in un vicolo cieco che non ammette concessioni. E nelle giornate storte questo può avere gravi effetti sul commercio mondiale. ◆ gac

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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati