Chi genera un discorso sociologico oltre che musicale, come fece Niccolò Contessa con Il sorprendente album d’esordio de I Cani, trova vari modi di sopravvivere o di tenere fede alla missione che gli viene imposta, e all’importanza che sente di avere in ragione del talento. Calibrare la letteratura che si ha alle spalle con il pessimismo storico senza produrre anatemi da supermercato o resistendo alla consunzione della rete, che pure ha dato molte forme di scrittura a Contessa, è la forza di Post mortem, un disco che fa il contrario di quello che chiediamo alla musica popolare dal 2020 in poi: rappresentare la rimozione.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Nella sua settimana di esistenza Post mortem ci ha riportati a un mondo prepandemico in cui uscivano i dischi e non solo le canzoni, riattivando una dimensione comunitaria di sorpresa che non può avere emuli. Eppure è anche un lavoro situato nella malinconia del metabolismo difettoso del presente e nel breve desiderio di consolazione che proviamo adesso. Il madrigale elettronico di Colpevole o la liturgia di Post mortem innescano queste consapevolezze su un piano più sentimentale. Poi arrivano brani come Nella parte del mondo in cui sono nato a correggere la mistica con la staffilata su autofiction e il cannibalismo dei codici del realismo occidentale. Si parla molto di origine e di fine quando si commenta il lavoro di Contessa, ma anche se alcune tonalità di Post mortem virano verso la musica sacra e c’è sempre la tentazione di attribuirgli un dogma o l’altro, qui la sua dimensione è la crescita. ◆

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1610 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati