Una cosa è ritenere che l’amministrazione statunitense faccia il gioco della Russia, un’altra è vederlo scritto nero su bianco. L’agenzia di stampa Bloomberg ha pubblicato le trascrizioni sconvolgenti di due conversazioni telefoniche riservate, la prima tra l’inviato americano Steve Witkoff e il consigliere diplomatico russo Yuri Ušakov, la seconda tra Ušakov e il negoziatore russo Kirill Dmitriev.
Come ha fatto Bloomberg ad avere le trascrizioni? L’agenzia non lo rivela, così come non chiarisce come sia entrata in possesso di una conversazione tra due funzionari russi. Tuttavia, nessuno nega l’autenticità di questi due documenti eccezionali.
Nella prima conversazione, avvenuta il mese scorso, Witkoff (amico di Donald Trump) spiegava al suo interlocutore russo il modo in cui il presidente Vladimir Putin avrebbe dovuto palare al presidente statunitense, consigliandogli di complimentarsi per il successo a Gaza, di adularlo e chiamarlo “uomo di pace”. A quel punto, spiegava Witkoff, “sarà davvero un’ottima conversazione”. Poi aggiungeva: “Ho detto al presidente che la Russia ha sempre voluto un accordo di pace. Ne sono convinto e ho detto al presidente che questo è ciò che credo”.
La seconda conversazione, ancora più stupefacente, conferma quello che tutti sospettavano: il piano in 28 punti presentato come “statunitense” è in realtà un testo russo. Dmitriev, molto vicino a Putin, parlando con Ušakov gli propone di consegnare agli statunitensi un documento basato sulle richieste russe. “Glielo farò avere in modo informale”, spiega Dmitriev. “Così potranno sostenere che sono stati loro a realizzarlo. Non credo che useranno esattamente la nostra versione, ma almeno sarà il più simile possibile”. Qualche giorno dopo, Dmitriev era a Miami, negli Stati Uniti, per incontrare Witkoff e dargli il documento.
L’illusione dell’Europa
Il seguito è noto: gli statunitensi hanno presentato un piano di pace che ha suscitato scalpore e che Trump ha ordinato a Volodymyr Zelenskyj di accettare entro il 27 novembre, prima che il segretario di stato Marco Rubio, tenuto in disparte fino a quel momento, prendesse in mano la situazione e andasse a Ginevra, in Svizzera, per negoziare con gli ucraini e gli europei.
La prima lezione di questo episodio è che la complicità fra l’amministrazione Trump e il Cremlino è totale ed è basata sulla convinzione che sia meglio trovare un’intesa con Putin, l’uomo forte che controlla il potenziale economico della Russia, invece che con il paese aggredito, l’Ucraina, troppo debole e “senza carte in mano”, come ha detto Trump rivolgendosi a Zelenskyj alla Casa Bianca.
La seconda lezione è che gli Stati Uniti non possono più essere rispettati come leader di un fronte occidentale che non esiste più. Gli americani restano la prima potenza mondiale e da questo punto di vista nessuno può fare a meno di loro (a cominciare dai paesi europei che si trovano in posizione di debolezza), ma l’Europa deve almeno avere la lucidità di ammetterlo invece di coltivare illusioni sulla propria capacità d’influenzare Trump.
Il 25 novembre i paesi della cosiddetta coalizione dei volenterosi si sono riuniti in videoconferenza per coordinare il sostegno all’Ucraina. All’incontro c’era anche Rubio, un repubblicano all’antica che si è schierato dalla parte di Trump e che oggi è nella posizione migliore per capire cosa sta succedendo. Di sicuro c’è che in dieci mesi di presidenza Trump sono cadute tutte le maschere.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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