Se c’è un anniversario che dovrebbe riunire più che dividere, è sicuramente quello della fine della seconda guerra mondiale. Nel 1945 l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti e i loro alleati europei uscivano vincitori dalla battaglia contro la Germania nazista.
Qualche mese prima, Roosevelt, Churchill e Stalin avevano immortalato la loro alleanza in una foto scattata a Yalta, nella Crimea che allora faceva parte del territorio sovietico. Il seguito è ben noto: la guerra fredda, la caduta del muro di Berlino, il disgelo e infine il ritorno della glaciazione.
Ottant’anni dopo quell’evento, l’8 maggio in Europa e il giorno successivo a Mosca – a causa del fuso orario – la commemorazione della vittoria ha il gusto della polvere da sparo: la guerra è tornata nel continente, opponendo paradossalmente proprio gli alleati del 1945.
A complicare il panorama c’è il fatto che gli Stati Uniti, leader del “mondo libero” – come si diceva ai tempi della guerra fredda – si ritrovano con Donald Trump a rimettere in discussione l’ordine internazionale costruito nel 1945, e ad allearsi con la Russia.
È a Mosca che il teatro diplomatico si fa più simbolico. Tre anni dopo l’invasione dell’Ucraina, Vladimir Putin vuole mostrare agli occidentali che il loro tentativo di isolarlo è fallito. Il suo amico cinese Xi Jinping, leader della seconda potenza mondiale, si trova dal 7 maggio in Russia. I suoi soldati sfileranno al fianco dell’armata russa sulla piazza Rossa.
Altri leader stranieri hanno deciso di essere presenti a Mosca, tra cui il primo ministro di un paese europeo, lo slovacco Robert Fico, che rompe i ranghi e va ad applaudire la sfilata dell’esercito russo mentre l’Ucraina è bombardata. Lo stesso vale per Aleksandar Vučić, presidente della Serbia candidata all’adesione all’Unione europea, che però antepone il nazionalismo slavo a qualsiasi altra considerazione.
Ma la grande vittoria di Putin è rappresentata dalla partecipazione di Lula, il presidente brasiliano, che andando a Mosca pensa di difendere un certo non-allineamento, ma in realtà approva implicitamente la violazione della carta delle Nazioni Unite. Questo attegiamento di Lula si lega anche a un antimperialismo anacronistico.
In realtà viviamo una fase di piena ricomposizione del mondo. Le istituzioni nate dopo il 1945 come le Nazioni Unite sono in crisi, mentre i rapporti di forza tornano a dominare il palcoscenico internazionale come succedeva nel diciannovesimo secolo.
Oggi non esistono solo due blocchi, come nella guerra fredda, ma abbiamo un mondo frammentato che non sa ancora come andrà a finire questa storia. Trump ha accelerato la decomposizione dell’ordine mondiale con la sua aggressività caotica.
Il club di Mosca del 9 maggio approfitta dell’effetto del trumpismo. Naturalmente, tra i maggiori beneficiari della situazione ci sono Xi e Putin. Due anni fa erano stati loro ad annunciare che il mondo viveva cambiamenti che non si vedevano da tempo, e che Cina e Russia erano le due forze dietro questa evoluzione. Nel frattempo il presidente degli Stati Uniti è arrivato a rinvigorire le loro ambizioni.
Il 9 maggio gli europei preferiranno un’altra celebrazione, quella della “giornata dell’Europa” per ricordare il 75° anniversario della dichiarazione Schuman, l’atto di nascita della costruzione europea. A ciascuno i suoi simboli. Anche questa si chiama guerra fredda.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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