Prove per la parata militare in occasione dell’80º anniversario della vittoria contro la Germania nazista nella seconda guerra mondiale, Mosca, Russia, 7 maggio 2025. (Anton Vaganov, Reuters/Contrasto)

Se c’è un anniversario che dovrebbe riunire più che dividere, è sicuramente quello della fine della seconda guerra mondiale. Nel 1945 l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti e i loro alleati europei uscivano vincitori dalla battaglia contro la Germania nazista.

Qualche mese prima, Roosevelt, Churchill e Stalin avevano immortalato la loro alleanza in una foto scattata a Yalta, nella Crimea che allora faceva parte del territorio sovietico. Il seguito è ben noto: la guerra fredda, la caduta del muro di Berlino, il disgelo e infine il ritorno della glaciazione.

Ottant’anni dopo quell’evento, l’8 maggio in Europa e il giorno successivo a Mosca – a causa del fuso orario – la commemorazione della vittoria ha il gusto della polvere da sparo: la guerra è tornata nel continente, opponendo paradossalmente proprio gli alleati del 1945.

A complicare il panorama c’è il fatto che gli Stati Uniti, leader del “mondo libero” – come si diceva ai tempi della guerra fredda – si ritrovano con Donald Trump a rimettere in discussione l’ordine internazionale costruito nel 1945, e ad allearsi con la Russia.

È a Mosca che il teatro diplomatico si fa più simbolico. Tre anni dopo l’invasione dell’Ucraina, Vladimir Putin vuole mostrare agli occidentali che il loro tentativo di isolarlo è fallito. Il suo amico cinese Xi Jinping, leader della seconda potenza mondiale, si trova dal 7 maggio in Russia. I suoi soldati sfileranno al fianco dell’armata russa sulla piazza Rossa.

Memorie di guerra
“Per tutto quel periodo non ho fatto che sognare le scarpe. Come ottenerle? Che fare per procurarmele?”. Nell’aprile del 1945 finiva la seconda guerra mondiale. Il ricordo di Ryszard Kapuscinski, dall’archivio di Internazionale.

Altri leader stranieri hanno deciso di essere presenti a Mosca, tra cui il primo ministro di un paese europeo, lo slovacco Robert Fico, che rompe i ranghi e va ad applaudire la sfilata dell’esercito russo mentre l’Ucraina è bombardata. Lo stesso vale per Aleksandar Vučić, presidente della Serbia candidata all’adesione all’Unione europea, che però antepone il nazionalismo slavo a qualsiasi altra considerazione.

Ma la grande vittoria di Putin è rappresentata dalla partecipazione di Lula, il presidente brasiliano, che andando a Mosca pensa di difendere un certo non-allineamento, ma in realtà approva implicitamente la violazione della carta delle Nazioni Unite. Questo attegiamento di Lula si lega anche a un antimperialismo anacronistico.

In realtà viviamo una fase di piena ricomposizione del mondo. Le istituzioni nate dopo il 1945 come le Nazioni Unite sono in crisi, mentre i rapporti di forza tornano a dominare il palcoscenico internazionale come succedeva nel diciannovesimo secolo.

Oggi non esistono solo due blocchi, come nella guerra fredda, ma abbiamo un mondo frammentato che non sa ancora come andrà a finire questa storia. Trump ha accelerato la decomposizione dell’ordine mondiale con la sua aggressività caotica.

Il club di Mosca del 9 maggio approfitta dell’effetto del trumpismo. Naturalmente, tra i maggiori beneficiari della situazione ci sono Xi e Putin. Due anni fa erano stati loro ad annunciare che il mondo viveva cambiamenti che non si vedevano da tempo, e che Cina e Russia erano le due forze dietro questa evoluzione. Nel frattempo il presidente degli Stati Uniti è arrivato a rinvigorire le loro ambizioni.

Il 9 maggio gli europei preferiranno un’altra celebrazione, quella della “giornata dell’Europa” per ricordare il 75° anniversario della dichiarazione Schuman, l’atto di nascita della costruzione europea. A ciascuno i suoi simboli. Anche questa si chiama guerra fredda.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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