Il 26 aprile l’ufficio politico del Partito comunista cinese (Pcc), l’organo dirigente del paese, si è riunito per una sessione dedicata – come recita il nome ufficiale – “all’autosufficienza” e alla “promozione di uno sviluppo sano e ordinato dell’intelligenza artificiale”. Secondo i mezzi d’informazione di stato, nel corso del vertice Xi Jinping ha insistito molto sulla creazione di un sistema “indipendente e controllabile”.
In questa comunicazione codificata le parole chiave sono certamente “autosufficienza”, “indipendenza” e “controllo”. Nell’epoca della guerra commerciale scatenata da Donald Trump, è evidente che la Cina abbia deciso di accelerare la marcia verso il disaccoppiamento tecnologico (il decoupling, come lo chiamano gli americani), avviato già da molti anni.
Il paradosso è evidente: Trump voleva frenare la Cina attraverso le sanzioni nel settore tecnologico, che per esempio vietano l’esportazione dei chip Nvidia necessari per il funzionamento dell’intelligenza artificiale.
E invece ha ottenuto l’effetto contrario. Washington potrebbe forse aver guadagnato tempo, ma non ha i mezzi per fermare l’ascesa irresistibile di Pechino nel campo delle tecnologie del futuro.
Oggi la Cina investe decine di miliardi di dollari per cancellare tutte le sue dipendenze. Negli ultimi anni gli occidentali hanno parlato molto di “ridurre il rischio” nei rapporti con la Cina, ma Pechino ha fatto altrettanto. Trump ha semplicemente rafforzato questa tendenza.
Un esempio significativo arriva dai semiconduttori, al centro della guerra tecnologica del ventunesimo secolo. Gli Stati Uniti hanno progressivamente privato la Cina dell’accesso ai chip più sofisticati, che l’industria cinese non è ancora in grado di produrre. Ironia della sorte, i chip vengono fabbricati a Taiwan, l’isola rivendicata da Pechino, ma non possono essere più esportati sul continente.
La Cina, però, sta colmando il ritardo. La società di telecomunicazioni Huawei è diventata un punto di riferimento nel paese nel campo dei semiconduttori e ha appena presentato un sistema chiamato CloudMatrix 384, che combina la potenza di 384 chip per produrre risultati equivalenti a quelli dei super-chip dell’americana Nvidia.
Questa capacità ha sorpreso gli esperti, come era già accaduto con il lancio della versione cinese low-cost di Chat-GPT da parte di DeepSeek, a dicembre.
Il caso di Huawei è un buon indicatore del processo di disaccoppiamento, di separazione tecnologica. In occasione del suo primo mandato, Trump aveva preso di mira la società, fiore all’occhiello della tecnologia cinese, facendo pressione sugli alleati degli Stati Uniti affinché la escludessero dal loro mercato nazionale. In molti, all’epoca, avevano previsto la morte di Huawei a causa della sua estromissione dai principali mercati mondiali.
E invece l’azienda ha saputo recuperare in modo stupefacente, soprattutto creando un proprio sistema operativo. In passato il mercato era dominato da Apple e Android, ma ora si è aggiunto il sistema operativo cinese, diffuso nel mondo non occidentale.
Questo modello si sta generalizzando. L’universo tecnologico si spacca seguendo le linee di frattura della nuova guerra fredda tra l’occidente e la Cina, con i paesi in via di sviluppo a fare da arbitri. Di sicuro non è quello che voleva Trump, ma quando si sottovaluta troppo l’avversario si finisce per perdere la sfida. Questa è la minaccia che incombe oggi sulla testa del presidente statunitense.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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