In Cina uno dei tanti soprannomi dati al presidente degli Stati Uniti Donald Trump è Chuan Jianguo. Letteralmente si potrebbe tradurre con “Trump il costruttore della nazione”. La traduzione migliore che riesco a trovare è “il compagno Trump”. La battuta allude al fatto che Trump sarebbe un figlio patriottico della Cina, che sta promuovendo gli interessi di Pechino provocando il caos negli Stati Uniti. Ho scoperto questi meme da alcuni amici conosciuti la scorsa estate quando ho seguito due corsi di formazione per venditori: il primo in un centro di reclutamento di Amazon a Hangzhou, il secondo in una sede di Temu a Shenzhen.

Queste aziende sono parte di un enorme ecosistema del commercio online, diventato centrale sia per la vendita al dettaglio su scala mondiale sia per l’economia globale. Si tratta di un ecosistema che ha profonde radici in Cina, di cui fanno parte i produttori di merci, i venditori online, e quelli che piazzano software e servizi a entrambi i gruppi. Amazon, Etsy con la sua estetica millennial, l’app di acquisti Temu con le sue offerte a basso costo, il rivenditore di fast fashion Shein, e perfino Google e la Meta: tutte dipendono da milioni di venditori che hanno sede in Cina.

Non sarebbe poi così esagerato affermare che Amazon è un’azienda tanto cinese quanto statunitense: più della metà dei suoi maggiori venditori si trovano in Cina

Secondo il Wall Street Journal nel 2023 Temu, fornitore di un’enorme gamma di prodotti, dalle muffole alle case mobili, è diventato il maggiore compratore di annunci sulle piattaforme della Meta, l’azienda proprietaria di Facebook, mentre la società madre di Temu, la Pdd Holdings, è tra i principali inserzionisti di Google (Temu contesta queste cifre). Alcuni analisti hanno stimato che solo nel terzo trimestre del 2023 Shein ha speso duecento milioni di dollari (circa 173 milioni di euro) in pubblicità su Face­book e Instagram.

Non sarebbe poi così esagerato affermare che Amazon è un’azienda cinese tanto quanto è statunitense: più della metà dei suoi maggiori venditori sono in Cina, e le commissioni che pagano per usare il suo marketplace (cioè per vendere i loro prodotti sul sito di Amazon) sono tra le principali fonti di guadagno dell’azienda di Jeff Bezos.

Questa dinamica spiega perché è improbabile che i dazi imposti da Trump alla Cina riescano a realizzare l’obiettivo di riportare negli Stati Uniti i posti di lavoro del settore manifatturiero. Piuttosto costringeranno i cittadini statunitensi a pagare di più per gli stessi prodotti che hanno sempre comprato su Amazon. Le tariffe, inoltre, spingeranno anche l’ecosistema cinese dell’azienda di Bezos ad ampliare i suoi orizzonti e, in tal modo, rafforzeranno il potere economico di Pechino in tutto il mondo.

Ci sono più di centomila venditori che commerciano attraverso Amazon nella città di Shenzhen, una frenetica metropoli di fronte a Hong Kong, dove gli estuari del fiume delle Perle sfociano nel mar Cinese meridionale. Le aziende più piccole vendono prodotti ordinari (bottiglie di plastica per l’acqua, tubi di gomma, lucine natalizie), con marchi dai nomi oscuri, a volte perfino bizzarri. Altri produttori invece sono dei colossi. La Anker, un’azienda locale di elettronica, fondata a Shenzhen per produrre batterie di ricambio per computer portatili ma che si è prontamente reinventata nella fabbricazione di caricatori per dispositivi elettronici, ha circa cinquemila dipendenti e fattura tre miliardi di dollari (circa 2,6 miliardi di euro) all’anno.

I dazi statunitensi potrebbero favorire la Cina. È dimostrato che molti venditori cinesi li eludono usando società terze che nascondono il valore effettivo dei loro prodotti

I clienti di Amazon tipicamente non sono legati a un venditore in particolare, ma al sito. Nella stragrande maggioranza dei casi scelgono gli articoli che Amazon gli mostra per primi. Quindi potrebbero non accorgersi dell’impatto dei dazi sui venditori più piccoli, che tendenzialmente non hanno il capitale e le risorse per assorbire questi cambiamenti improvvisi. Come nell’estate del 2021, quando Amazon senza preavviso ha sospeso migliaia di venditori cinesi sospettati di comprare recensioni false, le società che falliranno saranno rapidamente rimpiazzate e dimenticate.

Probabilmente, però, i clienti statunitensi noteranno i prezzi più alti. La stragrande maggioranza degli articoli in vendita su Amazon è fabbricata in Cina. Molti venditori statunitensi presenti su Amazon comprano lì i loro prodotti. Questi, come i loro concorrenti cinesi, alla fine saranno costretti ad alzare i prezzi perché già oggi hanno margini di profitto risicati. La maggior parte degli economisti esclude che i dazi contribuiranno a riportare negli Stati Uniti posti di lavoro nel settore manifatturiero. Alcuni dubitano perfino che sia necessario farlo. Il governo cinese ha impiegato decenni a investire in istruzione, infrastrutture e ricerca. E mentre il costo della manodopera cinese è aumentato, è ancora notevolmente più basso rispetto a quello negli Stati Uniti. Le esenzioni per smartphone, computer e altri dispositivi elettronici – a cui prontamente è seguito l’avvertimento che potrebbe trattarsi di provvedimenti temporanei – hanno causato ulteriore caos e smarrimento.

A medio e lungo termine i dazi statunitensi potrebbero favorire la Cina. È dimostrato che molti venditori cinesi eludono i dazi usando società di comodo che nascondono il valore effettivo dei loro prodotti o il luogo di origine. La Goldman Sachs ha calcolato che questi metodi hanno consentito alle aziende cinesi di aggirare dazi per un valore compreso tra i 110 e i 130 miliardi di dollari durante la prima amministrazione Trump. Molti venditori statunitensi che importano dalla Cina affermano che questi espedienti li mettono in una condizione di svantaggio. E se le tariffe spingeranno gli Stati Uniti in recessione, i consumatori cercheranno di risparmiare, favorendo così i molti venditori via Amazon di Shenzhen, specializzati in prodotti a basso costo.

Inoltre, i dazi creano per i venditori cinesi un incentivo a cercare di vendere altrove i loro prodotti. Negli ultimi due anni il governo ha incoraggiato le imprese a chuhai, parola che significa diventare globali, espandersi in Africa, America Latina e Asia centrale e sudorientale.

Amazon ha introdotto un particolare tipo di globalizzazione che ha reso possibile l’ecosistema di Shenzhen. E ora che le tariffe spingono la Cina a globalizzarsi nel resto del mondo, questo ecosistema –che basa la sua sopravvivenza sull’immensa piattaforma di Amazon e sui suoi dati – può fare da apripista. C’è un motivo per cui il governo di Pechino negli ultimi dieci anni ha collaborato strettamente con Amazon.

La spinta globale dei venditori cinesi probabilmente trarrà vantaggio anche dai progressi dell’intelligenza artificiale, che consentirà ai produttori di fabbricare e gestire più prodotti, tradurre le loro pubblicità in varie lingue e cercare nuovi mercati esteri in modo più efficace che mai. In passato sconvolgimenti improvvisi del settore del commercio online cinese hanno accelerato l’innovazione. A Shenzhen la sospensione di massa degli account di Amazon del 2021 è un trauma ancora vivo. Quando sono stata in città l’estate scorsa un imprenditore si è quasi messo a piangere mentre me ne parlava. Ma quel colpo è stato anche uno dei motivi principali che ha spinto molti venditori a migrare verso Temu, quando quest’ultima ha cominciato a investire per un’espansione negli Stati Uniti. Temu è stata lanciata nel settembre 2022. Gli analisti hanno stimato che alla fine del 2024 l’azienda aveva venduto merci per più di 50 miliardi di dollari, e la Apple ha confermato che quell’anno l’app di Temu era stata la più scaricata sugli iPhone negli Stati Uniti; secondo Similar Web, una piattaforma di analisi di dati, a febbraio del 2025 il sito statunitense di Temu ha ricevuto quasi un miliardo di visite.

Poi c’è la decisione dell’amministrazione Trump di mettere fine a un’esenzione che per molto tempo ha consentito alle aziende di commercio online di spedire negli Stati Uniti pacchi per un valore inferiore a 800 dollari senza dover pagare dazi. Anche se questo cambiamento danneggerà i siti come Temu, che sono specializzati nella vendita di prodotti a basso costo, l’azienda cinese ha anticipato questa mossa e ha già cominciato a esortare i commercianti a far passare le merci dai centri di stoccaggio negli Stati Uniti, anziché vendere direttamente ai clienti. Questo sta stimolando la crescita di aziende di logistica cinesi, spesso gestite in società con amici e parenti negli Stati Uniti, intestate a loro.

Quindi forse ha un senso l’ammirazione che tanti commercianti di Shenzhen provano nei confronti di Donald Trump come imprenditore, se non come lea­der. Il loro affetto, a quanto ho capito, è complicato, perché la simpatia ora è mitigata dal disappunto causato dai dazi. Alcuni mi dicono che si tratta più che altro di un gioco. Ma hanno la sensazione che, per quanto dolorosi potranno essere nel breve periodo, alla fine i dazi spingeranno la Cina ad assumere il posto che merita come leader del mondo e faro di una nuova fase di globalizzazione non più centrata su Washington.

Su Taobao, una piattaforma cinese di commercio online, si può comprare una statua in ceramica di Trump come portafortuna per la propria azienda. L’originale si chiama Xi Tian Dong Fo Tu Lan Pu: Trump, “il Buddha dell’occidente (o del paradiso occidentale) che tutto conosce”. Oggi su Amazon se ne trovano delle imitazioni per 45 o 50 dollari vendute da negozi con nomi tipo Nagelbag e Dfghj. Con il compagno Trump al tuo fianco, o solennemente intento a meditare sul tuo cruscotto, l’avvenire sarà luminoso. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 43. Compra questo numero | Abbonati