Da 59 giorni neanche un singolo camion di aiuti umanitari è riuscito a raggiungere la Striscia di Gaza, dove vivono più di due milioni di persone. Intanto, gli allarmi sulla situazione critica nel territorio palestinese si moltiplicano, a causa della guerra sempre più violenta condotta da Israele.

Il Programma alimentare mondiale (Pam), che distribuisce generi alimentari a decine di migliaia di persone, ha esaurito le sue riserve e avverte che “la popolazione è allo stremo”. Secondo le Nazioni Unite i palestinesi sono “sull’orlo dell’abisso”. Medici senza frontiere dichiara che la Striscia di Gaza è diventata una “fossa comune”, sia per i palestinesi sia per chi cerca di aiutarli.

Si possono anche ignorare queste parole, come d’altronde fa Israele considerandole parte di una propaganda ostile. Ciò non toglie nulla alla gravità di quello che sta accadendo, nel più totale sprezzo del diritto internazionale umanitario.

La Corte internazionale di giustizia, un organo delle Nazioni Unite, è riunita dal 28 aprile all’Aia su richiesta di quaranta stati e organizzazioni internazionali, per esprimere un parere sugli obblighi legali di Israele rispetto agli aiuti umanitari. A prendere l’iniziativa è stata la Norvegia.

Israele accetterà la decisione della Corte? Quasi certamente no, come dimostra il fatto che il governo di Tel Aviv abbia deciso di non partecipare nemmeno alle udienze dell’Aia.

La Striscia di Gaza divisa e occupata
L’esercito israeliano sta chiudendo la città di Rafah e i suoi dintorni all’interno di una zona cuscinetto lungo il confine. L’obiettivo è isolare le varie parti del territorio e controllarle

In ogni caso, resta importante affermare l’importanza del diritto in una situazione in cui sono in gioco la vita e la morte, anche se gli effetti non saranno immediati. Tanto più che il governo israeliano non nasconde di fare ricorso deliberatamente all’arma della fame per piegare Hamas, che detiene ancora alcuni ostaggi. Il ministro della difesa israeliano Katz lo ha ammesso senza giri di parole.

Con ogni probabilità, la Corte richiamerà all’ordine Israele perché il diritto internazionale è chiaro sul divieto di punizioni collettive. Purtroppo, però, la regressione della nostra epoca è evidenziata dal fatto che il governo di Tel Aviv, sostenuto da buona parte della sua popolazione e coperto dagli Stati Uniti di Trump, si fa beffe di queste regole.

Per chi volesse consultarle, le norme sono presenti sul sito del Comitato internazionale della Croce Rossa, dove possiamo leggere nero su bianco la seguente frase: “È vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili”. Esattamente quello che sta accadendo a Gaza.

La storia di questo paradigma del diritto internazionale umanitario, come ricordato dalla Croce Rossa, è illuminante. Nel 1863, il codice Lieber – un primo tentativo di definire il diritto bellico – stabiliva ancora che “è legale affamare il belligerante nemico, armato o meno, al fine di giungere più rapidamente alla sua sottomissione”.

Dopo la prima guerra mondiale, però, la dottrina è cambiata e la fame non è stata più considerata un’arma di guerra accettabile. Il divieto è stato sancito dalle convenzioni di Ginevra, e successivamente dallo statuto della Corte penale internazionale del 2002, secondo cui “affamare intenzionalmente i civili come metodo di guerra, privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza” costituisce un crimine di guerra.

Quello che sta accadendo a Gaza era forse accettabile nel 1863, ma non lo è assolutamente nel 2025. L’arma della fame appartiene a un tempo passato e indifendibile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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