L’esercito israeliano si prepara a incorporare la città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, e le aree urbane vicine nella zona cuscinetto che sta creando lungo il confine. L’area è compresa tra il corridoio Filadelfi a sud e il corridoio Morag a nord, e prima della guerra ci abitavano circa duecentomila persone. Ma nelle ultime settimane è stata quasi totalmente svuotata dalla devastazione causata dall’esercito israeliano. Dopo la fine del cessate il fuoco i militari hanno ordinato ai civili rimasti di lasciare l’area e spostarsi nella zona umanitaria sulla costa, tra Khan Yunis e Al Muwasi.

Finora l’esercito aveva evitato di inglobare città grandi come Rafah nella zona cuscinetto. Secondo funzionari della difesa, il cambio di rotta è arrivato dopo che il governo a febbraio ha ripreso la guerra, e nel contesto delle dichiarazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu secondo cui Israele avrebbe preso il controllo di vaste aree della Striscia. Per certi versi, sembra che l’esercito stia provando a replicare nel sud i metodi impiegati nel nord del territorio.

Strumenti di pressione

L’espansione della zona cuscinetto ha implicazioni importanti. Non solo copre una vasta area – circa 75 chilometri quadrati, approssimativamente un quinto della Striscia – ma isolarla significherebbe far diventare Gaza a tutti gli effetti un’enclave all’interno del territorio controllato da Israele, senza più collegamenti con il confine egiziano. Secondo fonti della difesa, questa considerazione ha avuto un ruolo fondamentale nella decisione di concentrarsi su Rafah.

Le fonti hanno aggiunto che l’ iniziativa ha pure l’obiettivo di creare nuovi strumenti di pressione su Hamas. All’interno dell’esercito è sempre più diffusa la consapevolezza che difficilmente Israele riceverà sostegno dalla comunità internazionale – Washington compresa – per una campagna prolungata a Gaza. Allo stesso modo le minacce dei ministri israeliani di bloccare gli aiuti umanitari probabilmente non saranno messe in atto in modo stabile. Così l’esercito si prepara a concentrare le operazioni in aree dove ritiene di poter esercitare la massima pressione sulla leadership di Hamas. Rafah, sia per le sue dimensioni sia per la sua posizione strategica sul confine egiziano, è diventata un bersaglio particolarmente accattivante. I militari stanno già lavorando per espandere il corridoio Morag, demolendo gli edifici lungo il percorso: in alcuni tratti sarà largo centinaia di metri, in altri potrebbe superare un chilometro. Secondo le fonti, resta da decidere se l’intera area sarà classificata come zona cuscinetto vietata ai civili – come è stato fatto in altre parti della zona di confine – o se sarà completamente sgomberata e tutti gli edifici saranno demoliti, di fatto cancellando Rafah.

Frustrazione profonda

Quando è cominciata la guerra nell’ottobre 2023 l’esercito aveva annunciato un piano per creare una zona cuscinetto lungo tutto il perimetro della Striscia di Gaza, per allontanare le minacce dalle comunità di confine israeliane di almeno 800 metri e fino a un chilometro e mezzo. La zona si estende su quasi 60 chilometri quadrati – più del 16 per cento di tutta la Striscia – e fino al 7 ottobre 2023 ci vivevano circa 250mila palestinesi. Un rapporto dell’Operazione satellitare delle Nazioni Unite, pubblicato nell’aprile 2024, ha mostrato che già allora circa il 90 per cento degli edifici nella zona cuscinetto era stato distrutto o danneggiato.

“Non posso credere che dopo un anno e mezzo siamo di nuovo al punto di partenza”

Tuttavia, la nuova attività militare nell’area non si limita al tratto tra i corridoi Morag e Filadelfi. Nelle ultime settimane i soldati hanno cominciato a occupare posizioni lungo tutto il perimetro, in quella che sembra una mossa preliminare. “Non rimane più nulla da distruggere nella zona cuscinetto”, ha detto un comandante che ha combattuto per più di 240 giorni nella Striscia e che ha partecipato alla demolizione delle strutture e alle operazioni di messa in sicurezza lungo la zona cuscinetto e il corridoio Netzarim. “L’intera area non è adatta all’insediamento umano. Non c’è bisogno di mandarci tanti soldati”. Il comandante e altri militari hanno manifestato una profonda frustrazione per il piano che prevede una ripresa delle operazioni in quelle aree. Gli ufficiali e i soldati riservisti affermano che l’esercito starebbe rilanciando gli stessi messaggi usati all’inizio della guerra, senza confrontarsi con la realtà sul campo. “Non posso credere che dopo un anno e mezzo siamo di nuovo al punto di partenza”, ha detto un riservista in servizio nella Striscia di Gaza. “Ci mandano a distruggere quello che è già stato distrutto, senza che nessuno sappia per quanto tempo, qual è il vero obiettivo e quand’è che la missione si potrà considerare compiuta”.

Ci sono già stati vari incidenti. Il più grave nel gennaio 2024, quando 21 riservisti sono rimasti uccisi in un’esplosione mentre demolivano alcuni edifici nella zona cuscinetto vicino al valico di Kissufim, nel centro di Gaza. I soldati avevano piazzato gli esplosivi in un edificio a circa 600 metri dalla barriera di confine. A quanto è stato riferito, un missile anticarro sarebbe stato lanciato contro l’edificio, dove decine di soldati si erano radunati in violazione dei protocolli di sicurezza e degli ordini. A più di un anno di distanza l’esercito non ha ancora rivelato le conclusioni della sua inchiesta sull’episodio.

Ora che ricominciano le operazioni per sgomberare e prendere il controllo di parti di Gaza, potrebbero nascere nuovi timori, in particolare per i danni alla popolazione civile. “Non è che noi ci svegliamo la mattina, mettiamo in moto un bulldozer e distruggiamo quartieri”, ha dichiarato un comandante che è stato a capo di alcune unità a Gaza. “Se dobbiamo avanzare in alcune aree, non metteremo in pericolo le nostre forze esponendole a trappole ed esplosivi”. Comandanti e soldati – alcuni dei quali hanno rilasciato le loro testimonianze all’organizzazione israeliana Breaking the silence – descrivono il tentativo di trovare un equilibro tra evitare di “svegliarsi la mattina e distruggere quartieri”, e “non mettere le truppe in pericolo”.

“Se identifichiamo dei sospetti, gli spariamo. Vogliamo che capiscano che non gli è permesso uscire”, ha detto un carrista che ha partecipato alle operazioni di sgombero lungo la zona cuscinetto. “Se un edificio si affaccia sulla barriera e da lì è possibile sparare verso la recinzione allora viene distrutto. Il bulldozer butta giù tutto quello che incontra sul suo percorso. Finiamola, questo è l’ordine. Finiamola con le sciocchezze. Basta giochini”. Secondo il soldato l’approccio dominante sul terreno era questo: “Non ci sono civili nell’area. Sono tutti terroristi. Non ci sono innocenti. Perché qualcuno dovrebbe avvicinarsi a meno di cinquecento metri dal mio carro armato?”.

Il settore più verde

Secondo i resoconti di ufficiali e soldati, la divisione Gaza dell’esercito ha creato una mappa con codici a colori delle diverse aree all’interno della zona cuscinetto, aggiornata periodicamente. Le zone erano segnate in rosso, arancione, giallo e verde. L’ultimo colore indicava che più dell’80 per cento delle strutture era stato distrutto. Erano segnati edifici residenziali, serre, capannoni, fabbriche: “qualsiasi cosa”, ha detto un soldato. La mappa ha trasformato la demolizione degli edifici in una gara tra le unità, nella quale ciascun comandante voleva mostrare che il suo settore era più verde degli altri. “Era una grande fonte di vanto”, ha detto un riservista.

Le regole d’ingaggio dell’esercito potrebbero tornare sotto osservazione data la possibilità di incontri tra soldati e civili che si rifiutano di lasciare la propria casa o che semplicemente si perdono. “Non c’è mai stata una regolamentazione delle istruzioni”, ha affermato un ufficiale addetto ai carri armati. “Qualunque movimento di persone era considerato sospetto, perché noi avevamo deciso che lo era. Vedi qualcosa di rilevante e spari. La distinzione tra infrastrutture civili e terroristiche non contava; a nessuno importava”. Secondo l’ufficiale, questo valeva anche all’interno della zona cuscinetto: “Avevamo stabilito un confine oltre il quale chiunque era considerato sospetto. Ma non saprei dire quanti palestinesi sapessero dove si trovava quella linea. Non è segnata a terra; è solo una linea immaginaria a circa un chilometro dal confine”. L’ufficiale ha aggiunto che c’era un codice informale su come rispondere: “Se è un uomo adulto: ucciderlo. Donne e bambini: sparare colpi di avvertimento per allontanarli. Se arrivano vicino alla barriera, fermarli. Non si uccidono donne, bambini o anziani”. Racconta che molti di quelli che entravano nella zona cuscinetto erano uomini adulti, che “non sembravano consapevoli di dove fosse la linea di confine”.

C’è un episodio che l’ufficiale ricorda con chiarezza. I palestinesi continuavano ad avvicinarsi alle postazioni fortificate delle truppe, anche dopo i colpi di avvertimento dei soldati. Dopo un po’ ha capito cosa stava succedendo: erano affamati e cercavano qualcosa da mangiare. “Venivano con dei sacchetti, probabilmente per raccogliere la malva. Erano considerati terroristi solo perché avevano delle buste in mano. La questione è che, a questo punto, l’esercito fa quello che vuole l’opinione pubblica. Gli israeliani dicono ‘Non ci sono innocenti a Gaza, e gliela faremo vedere’”.

Nonostante il tempo trascorso, il fallimento degli accordi per la liberazione degli ostaggi e il pericolo dimostrato sia per i soldati sia per gli ostaggi, di recente il comandante dell’unità di ricognizione della brigata Golani, dando istruzioni alle truppe prima di entrare nel corridoio Morag, ha detto: “L’obiettivo dell’operazione è riportare indietro gli ostaggi. Ogni persona in cui ci imbattiamo è un nemico. Se avvistate una sagoma, aprite il fuoco, distruggete il bersaglio e andate avanti. Non abbiate esitazioni”.

Ma soldati e ufficiali che hanno parlato con Haaretz hanno rivelato che nel corso di precedenti operazioni in aree messe in sicurezza, sgomberate e demolite, è emersa in seguito una notevole confusione. “Alcune decine di abitazioni che abbiamo demolito”, ha detto un carrista, “erano state segnalate come ostili dall’esercito, ma poi all’interno sono stati scoperti effetti personali degli ostaggi”. Chi c’era lì, quando e per quanto tempo? Queste domande, dicono i militari, probabilmente resteranno senza risposta. ◆ fdl

Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.

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Questo articolo è uscito sul numero 1610 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati