Due giorni nella vita di due persone innamorate. Il primo, quando tutto comincia, e l’ultimo, quando ci si lascia. A chi legge, la possibilità di immaginare cosa è successo in mezzo. In questa puntata: Claudia, 31 anni.

Il primo giorno

“Vivo con i miei genitori, sono un po’ smarrita. Posso metterci mezz’ora per scegliere un piatto al ristorante e dopo aver interrotto i miei studi di storia all’università mi sono iscritta a un corso di teatro in una scuola parigina che ho trovato su internet. Una fregatura! Sono giovane, mi annoio e ho voglia di vivere qualcosa di intenso. Ispirata dai racconti di viaggio di mio padre, prendo un biglietto di andata e ritorno per il Vietnam, dove prevedo di rimanere un mese, sola e senza telefono.

Dopo una notte ad Hanoi, prendo la corriera per Vu Linh, un villaggio duecento chilometri più a nord. Un luogo magico affacciato su un grande lago dove sento solo il ronzio del motore di una piroga. Passo le giornate a scrivere quello che, sognando, penso potrebbe diventare un romanzo o un film, e leggo L’Amour, la solitude del filosofo francese André Comte-Sponville. La notte dormo all’aperto sotto una zanzariera in uno spazio attrezzato per i visitatori. Non c’è nessuno e mi va benissimo. Quando mi dicono che a cena arriverà un nuovo ospite, temo che sconvolga il mio equilibrio.

Verso le sette e mezza di sera, una rumorosa motocicletta, che sembra essere sul punto di rompersi, arriva da lontano nella penombra. Il viaggiatore, avvolto in una grande giacca a vento, è bagnato e coperto di fango. È sporchissimo, ma quando si leva il casco vedo il profilo di un bel ragazzo. Labbra carnose, occhi verdi e testa rasata. Non me lo aspettavo e mi piace il fatto che mi piaccia.

Durante la cena non oso guardarlo e lui fa lo stesso. Penso di non interessargli, ma dopo un paio di bicchieri di alcol di riso cominciamo a scioglierci. Quando restiamo soli mi racconta che sta attraversando l’Asia da nove mesi. Si chiama Lathan, è un afrikaner che ha voluto lasciare la società come il protagonista di Into the wild. Fa il web designer e per un anno ha risparmiato per pagarsi questo viaggio. Sono affascinata.

‘Qual è il tuo cantante preferito?’, mi chiede. Jacques Brel! Lui però non lo conosce, così lo cerca sul telefono e mette Dans le port d’Amsterdam. Canto e ballo a piedi nudi ruotando su me stessa con ampi movimenti. Ho l’impressione di essere in trance, già innamorata. Lui ride. Dopo qualche birra andiamo a fare un bagno. Tornando verso la riva ci arrampichiamo su una piccola barca ormeggiata a una scaletta e facciamo l’amore. È tutto molto intenso.

Il giorno dopo, prima di rimettersi in viaggio, lega il suo grosso zaino al portapacchi e mi dice semplicemente: ‘Vieni’. Non ci penso molto, sono libera, non mi sono mai sentita così libera in vita mia, nulla mi trattiene. Parto con lui senza sapere dove stiamo andando. Passiamo i nostri giorni sulla moto, è scomoda e Lathan non fai mai delle pause. Non ho il coraggio di chiedergli di fermarsi per fare pipì o per comprare una banana. Piuttosto sottomessa, mi piace non dover prendere decisioni. Viaggio al ritmo di quest’uomo che mi piace follemente, della sua moto, di questo paese, di questa cultura che non conosco. Dimentico me stessa, in senso positivo. Sento che sto vivendo qualcosa che mi cambierà. Al suo fianco sto diventando un’altra persona.

Cinque giorni prima della mia partenza, comincia il conto alla rovescia: sono sconvolta dall’idea di doverlo lasciare. Mi propone di continuare il viaggio con lui, ma il mio sogno è recitare o scrivere, devo tornare in Francia. Quando mi accompagna al pullman, scrive su un foglietto il suo numero di telefono, il suo indirizzo e il nome del suo blog su cui posta delle foto. Sul pullman crollo come una bambina in lacrime che non riesce più a respirare. Temo di non rivederlo più”.

L’ultimo giorno

“Sono felice, sto facendo le prove per uno spettacolo teatrale e ricevo ogni settimana email romantiche da Lathan. Mi ha mandato di recente le foto del nostro ultimo viaggio in India. Gli sono fedele ma comincio a sentire il peso della nostra relazione a distanza. Mi manca. Sento che forse è arrivato il momento di vivere insieme. Il nostro amore potrà finalmente diventare sedentario? Continuo a farmi questa domanda. Per cercare una risposta ho bisogno di rivederlo a casa sua, nella sua vita quotidiana. Così qualche settimana prima di Natale lo raggiungo in Sudafrica.

A Johannesburg tutto diventa strano. È tornato a vivere dai genitori, che si rivelano fin troppo affettuosi. Staccano un quadro dal muro per regalarmelo, mi offrono magliette, un cappello, mi chiedono in continuazione se va tutto bene e cosa voglio mangiare. È tutto molto piacevole, ma mi sento oppressa. Per me Lathan rappresentava l’indipendenza, ora invece mi sembra un ragazzino in una famiglia molto tradizionale, con la loro tranquilla villetta con crocefissi ovunque e un prato perfettamente tagliato. Capisco perché è voluto andare via, mi rendo conto che cerca di frenare l’entusiasmo dei suoi genitori, ma l’immagine fantastica che mi ero fatta di lui comincia a svanire.

Partiamo con la sua Renault 5 per fare un giro del paese. Molto rapidamente sento che non è più come gli altri viaggi. Adesso Lathan sa dove va, conosce il territorio, non scopriremo nulla insieme. E mentre lui è perfettamente a suo agio con i coccodrilli, i serpenti e gli elefanti, io ho paura. Ho paura del leone a due metri dalla nostra auto. Non voglio dormire per terra con insetti che somigliano a scorpioni o a ragni giganti, anche se sono inoffensivi. Non voglio accamparmi vicino a un fiume dove un alligatore vive in libertà e mi rendo conto che Lathan ce l’ha con me per questo, perché gli animali selvatici sono tutta la sua vita.

Non è cattivo, ma vedo nel suo sguardo che l’ho deluso: non sono più quella ragazza capace di attraversare un fiume gelato con le scarpe da ginnastica, che non ha paura di nulla. Inoltre la barriera della lingua non aiuta. Le nostre conversazioni rimangono limitate, e questo ci impedisce di arrivare a un certo livello di verità. Nonostante le nostre discussioni, lui vuole venire a vivere a Parigi. Io però ci credo sempre meno. Non riesco a immaginarlo a Parigi e non mi vedo a restare qui.

Sono sempre più nervosa. Quando mi porta all’aeroporto gli propongo di fare l’amore perché forse non ci rivedremo più. Non ho ancora completamente accettato l’idea di una possibile separazione, ma continua a ronzarmi in testa. Parcheggia l’automobile, ma mentre siamo abbracciati dei poliziotti bussano al finestrino per portarci al commissariato. Ho paura e mi sento male. Anche se non è colpa di Lathan, sono arrabbiata con lui. Alla fine diamo un po’ di soldi ai poliziotti perché ci lascino in pace. Mi vergogno.

In aeroporto Lathan piange. Lo consolo dicendogli ‘ci vediamo tra due mesi’. Ma quando salgo sull’aereo so che non ci rivedremo più. Non mi piacciono gli alligatori e a Parigi lui sarebbe come un uccello in gabbia”.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Amore che vieni, amore che vai è una serie del quotidiano francese Le Monde che racconta il primo e l’ultimo giorno di una storia d’amore. Qui ci sono tutte le puntate.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it