C’è una bellezza terribilmente affascinante nel linguaggio biblico, e in generale in quello dei libri sacri delle tre religioni monoteiste, ma, come scriveva Rainer Maria Rilke, “il bello non è che il terribile al suo inizio”. Il dio severo e terribile, il signore degli eserciti che affida a Mosè i comandamenti per il suo popolo eletto, comincia da “Non avrai altro dio all’infuori di me”, principio di ogni intolleranza. Affermazione di una fede senza mediazioni. Quel manto di bellezza che avvolge i testi fondanti monoteisti si riverbera nelle parole che accompagnano gli spargimenti di sangue, le carni offese, lo spregio della vita, le violenze di stato. Così il massacro a Gaza prende il nome biblico “carri di Gedeone”, i testamenti dei martiri islamici prima di farsi saltare contengono sublimi versi del Profeta, il presidente degli Stati Uniti declama le “armi magnifiche nei cieli iraniani”, le sentenze d’impiccagione degli ayatollah vengono emesse su dettami religiosi. Il deus lo vult dei crociati, il Gott mit uns delle guerre mondiali, tutto è forza ammantata dalla fede che s’impone sul diritto. Sembra di non essersi mai evoluti dalla mascella d’asino con la quale Sansone uccide mille filistei. Un anziano mi disse: “Se non ci fosse il paradiso non ci sarebbero guerre”. Perché tutti riempiendosi la bocca di Dio, per garantirsi il paradiso, fanno di questa terra un inferno in cui non è possibile trattare.

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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati