La questione del compenso richiesto da Elon Musk alla Tesla è la sintesi perfetta delle storture del tecnocapitalismo centrato sul mito dei fondatori. Dopo che un tribunale del Delaware aveva congelato la retribuzione precedente da 56 miliardi di dollari, Musk ha cominciato a discutere un piano da mille miliardi. Bonus che scattano al raggiungimento di obiettivi ambiziosi. La presidente del consiglio d’amministrazione, Robyn Denholm, ha reso esplicito il ricatto: o Musk ottiene quel risultato, o può lasciare l’azienda. Musk, però, è anche il primo azionista, con quasi il 16 per cento. Sta ricattando se stesso? No. La sua richiesta equivale a una pretesa di espropriare gli altri azionisti del valore aggiunto che la Tesla può generare in futuro. In pratica, Musk ha prima fatto entrare soci per crescere grazie ai loro capitali, e ora stabilisce a posteriori che quegli investimenti non saranno remunerati quanto promesso. Il fondo sovrano della Norvegia ha annunciato che voterà contro. Se l’assemblea dei soci si sarà piegata al ricatto di Musk, il capitalismo entrerà in una nuova fase in cui il capo di un’azienda può reclamare un potere assoluto. Se Musk avrà perso, potrebbe essere la fine della Tesla o un ritorno delle sue azioni più coerenti con le prospettive realistiche, senza il moltiplicatore della narrazione di Musk. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 97. Compra questo numero | Abbonati





