Poche settimane dopo il referendum sulla Brexit un mio amico che aveva votato per l’uscita dall’Unione europea mi ha detto soddisfatto: “Non sentiremo mai più parlare d’immigrazione”. Secondo questa logica, se accontenti la gente che chiede più controlli ai confini, l’immigrazione non sarà più un tema da cavalcare per i politici e il paese potrà mettersi all’opera su tutte le altre cose importanti da fare. Diciamo che la sua previsione si è rivelata talmente sbagliata che non è stato necessario tornare sull’argomento.

Non è così che funziona la questione dell’immigrazione. L’asticella si sposta sempre. L’atteggiamento di Nigel Farage, leader del partito britannico di estrema destra Reform Uk, lo dimostra: anche ora che ha ottenuto quello che voleva, che il paese si è tirato fuori dall’Unione mettendo fine alla libera circolazione, spunta un’altra piaga sul tema dell’immigrazione. E indovinate un po’, l’unico partito che può guarirla è Reform Uk. Non è mai abbastanza. Basta vedere la repressione negli Stati Uniti: in pochi mesi la stretta sull’immigrazione si è estesa a tal punto che le persone straniere, sia quelle con documenti sia quelle senza, hanno paura di uscire di casa per andare a fare la spesa o al lavoro, perché la guardia nazionale pattuglia le strade.

Nigel Farage, in testa nei sondaggi nel Regno Unito, ha promesso che se andrà al governo espellerà dal paese seicentomila persone in cinque anni

Si comincia dalla frontiera, che va sorvegliata dall’esercito. Le persone che la attraversano vengono descritte come “invasori”. Dopo essere stato eletto per la seconda volta, Donald Trump ha ampliato la protezione costituzionale degli stati per includere la lotta all’immigrazione. Il confine meridionale degli Stati Uniti oggi è così militarizzato che ci sono schierati veicoli corazzati un tempo presenti in Iraq. Gli attraversamenti della frontiera erano diminuiti già prima che Trump diventasse presidente, ma da allora questo calo è accelerato. Ad aprile di quest’anno erano il 94 per cento in meno rispetto all’anno scorso. È abbastanza? No. Perché in realtà i numeri non contano.

Quando i mezzi d’informazione britannici ipotizzano che forse è arrivato il momento della “diplomazia delle cannoniere” per reagire agli arrivi di piccole imbarcazioni sta succedendo qualcosa di simile. Queste reazioni non hanno a che fare con i risultati, ma con l’ostentazione.

E la cosa non può fermarsi qui. Che dire delle persone già presenti nel paese? Sulla base delle nuove leggi statunitensi, che danno più poteri all’Immigration and customs enforcement (Ice, l’agenzia federale per l’immigrazione), gli arresti hanno colpito molti, dai migranti senza documenti a quelli con un permesso di soggiorno. L’Ice si avvia a diventare la più imponente forza di polizia degli Stati Uniti. Trump ha deciso che voleva espellere milioni di persone. E se quei milioni non esistono, allora si creano.

Nigel Farage, attualmente in testa ai sondaggi nel Regno Unito, ha promesso che se andrà al governo, dopo aver messo in sicurezza il confine espellendo chi arriva su piccole imbarcazioni, allontanerà seicentomila persone in cinque anni.

Questa cifra, come quella di Trump, è campata in aria, ma è al centro di tutti i progetti di Farage. È una strada che porta in un’unica direzione: fa militarizzare, riscrivere le leggi e perfino reinterpretare il concetto di residenza legale. Le persone arrivate irregolarmente che in seguito hanno ottenuto un permesso di soggiorno potrebbero perderlo, uscendo dalla legalità e aggiungendosi al numero degli invasori.

Il concetto stesso di “britannicità” sta cambiando, e alcuni lo hanno già ridefinito dicendo che solo chi è “nato nel Regno Unito” può essere definito britannico. Il risultato è che le famiglie miste, composte da persone con cittadinanza e senza, sono a rischio. Negli Stati Uniti quest’anno sono stati espulsi anche cittadini statunitensi, in alcuni casi bambini.

Qualcuno può dire che non importano i fatti o le cifre, perché i richiedenti asilo ospitati negli alberghi infiammano gli animi e le piccole barche fanno sentire le persone in pericolo. E che il compito dei politici è quello di placare i timori dell’opinione pubblica e andarle incontro. Ma questo presuppone che l’opinione pubblica sia immobile, e non sottoposta alle influenze di politici e dei mezzi d’informazione che rafforzano la percezione della crisi e poi la spingono verso la fase successiva della repressione.

Il tema centrale non è “quand’è che tanti sono troppi”, ma “quand’è che pochi sono abbastanza pochi”. E la risposta è “meno di zero”. E visto che questo scenario non è possibile, indipendentemente dalle promesse o dalle soluzioni sempre più estreme, la repressione non sarà mai abbastanza. E ogni volta che una soluzione verrà adottata – che sia la Brexit, le espulsioni, o la mobilitazione della marina militare – un coro di persone si leverà per dire che bisogna placare l’opinione pubblica. Ma poi quella soluzione sarà dimenticata e ne verrà invocata un’altra ancora. ◆ fdl

Questo articolo è uscito sul Guardian.

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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati