Silvia Bortoli
Come il cane è arrivato tra noi ed è rimasto
Quodlibet, 150 pagine, 14 euro

Le prime pagine di questo romanzo mi hanno ricordato che, in effetti, una buona fetta di donne è la mamma, la nonna, la zia dei cani di famiglia, mentre i maschi sono per lo più padroni, domatori, allevatori. Tra le eccezioni c’è il mio compagno, secondo cui io sarò pure la padrona di Artù, ma lui è il suo migliore amico. Il protagonista involontario di Bortoli è Jack, un Jack Russell terrier, come il mio, e che proprio come lui è testardo quanto tutti i cani di quella razza. Arriva in una famiglia in cui si sta perdendo qualcosa e qualcuno per l’Alzheimer che avanza, e a Jack viene chiesto di occupare un posto, di diventare un pezzo nuovo di un nucleo vecchio. I cani sono così: esseri viventi che pretendi di accudire ben sapendo che sono più loro a prendersi cura di te, a darti un nuovo equilibrio, uno scopo diverso. La malattia passa in secondo piano, il cane distrae la sua proprietaria dalla rigida routine, dal lavoro di cura, dal carico mentale – è un piacere e un monito. La nuova prova di narrativa di Silvia Bortoli, traduttrice dal tedesco, è un libro dolcissimo che si legge in un pomeriggio: piccoli istanti e scene costruite con pennellate rapide mostrano una quotidianità – a volte luminosa a volte ottusamente rigorosa – mentre si accapiglia con un cane che mette sottosopra l’esistenza, rimettendola, non si sa come, in ordine. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1638 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati