In Cisgiordania nessuno ha sentito parlare del cessate il fuoco a Gaza: né l’esercito, né i coloni, né l’amministrazione civile, né ovviamente i tre milioni di palestinesi che vivono sotto la loro tirannia. Non percepiscono minimamente la fine della guerra. Da Jenin a Hebron non si vede nessun cessate il fuoco. Per due anni in Cisgiordania c’è stato un regno del terrore oscurato dalla guerra nella Striscia, che ha fatto da pretesto discutibile e da cortina fumogena, e non ci sono segnali che questo regno stia per finire.

Tutti i decreti draconiani imposti ai palestinesi il 7 ottobre 2023 restano in vigore, e alcuni sono stati resi ancora più duri. La violenza dei coloni non si ferma, e lo stesso vale per il coinvolgimento dell’esercito e della polizia israeliana negli scontri. A Gaza vengono uccise e costrette alla fuga meno persone rispetto ai mesi scorsi, ma in Cis­giordania le cose vanno avanti come se non ci fosse stato alcun cessate il fuoco.

A Gaza vengono uccise e costrette alla fuga meno persone rispetto ai mesi scorsi, ma in Cisgiordania le cose vanno avanti come se non ci fosse stato alcun cessate il fuoco

L’amministrazione Trump, così attiva e risoluta a Gaza, chiude gli occhi sulla Cisgiordania e mente a se stessa sulla situazione nella regione. Per loro è sufficiente bloccare l’annessione. “Non succederà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi”, ha detto il 23 ottobre il presidente Donald Trump, mentre alle sue spalle Israele fa di tutto per distruggere, derubare e impedire la possibilità di vivere in Cisgiordania.

A volte sembra che il capo del comando centrale dell’esercito israeliano Avi Bluth – leale e obbediente al suo superiore, il ministro della finanze Bezalel Smotrich, che è anche nel ministero della difesa – stia conducendo un esperimento in collusione con coloni e forze di polizia: vediamo quanto possiamo tormentarli prima che esplodano.

La speranza che la loro sete di violenza si placasse una volta interrotti i bombardamenti a Gaza è stata spazzata via. La guerra nella Striscia era solo una scusa. Nel momento in cui i mezzi d’informazione non parlano della Cisgiordania e alla maggior parte degli israeliani e degli statunitensi non importa niente di quello che succede lì, il tormento può andare avanti. Anzi, il 7 ottobre è stata un’occasione storica per i coloni e i loro collaboratori, che hanno avuto la possibilità di fare quello che per anni non avevano osato fare.

Non è più possibile essere palestinesi in Cisgiordania. Non è stata distrutta come Gaza, non sono morte decine di migliaia di persone, ma lì la vita è diventata impossibile. Non sappiamo per quanto tempo Israele potrà stringere ancora la sua morsa senza che avvenga un’esplosione di violenza, stavolta giustificata.

Circa duecentomila palestinesi della Cisgiordania che prima lavoravano in Israele da due anni sono disoccupati. I salari di decine di migliaia di dipendenti dell’Autorità nazionale palestinese sono stati ridotti in modo significativo, perché Israele ha trattenuto le tasse che riscuote per conto della stessa Autorità nazionale palestinese. Ovunque ci sono povertà e disagio. E lo stesso vale per i posti di blocco. Non ce ne sono mai stati così tanti, di sicuro non per tutto questo tempo. Adesso se ne contano a centinaia.

Ogni insediamento ha recinzioni di ferro che si aprono e chiudono a turno. Non c’è modo di sapere cosa è aperto e cosa è chiuso né, cosa ancora più importante, quando. È tutto arbitrario. Tutto avviene su pressione dei coloni, che hanno assoggettato l’esercito israeliano. Ecco come stanno le cose da quando Bezalel Smotrich è ministro della Cisgiordania.

Dal maledetto 7 ottobre sono stati istituiti circa 120 nuovi avamposti di insediamenti, quasi sempre in modo violento, per un totale di decine di migliaia di acri, il tutto con il sostegno dello stato. Non passa settimana senza che sia creato un avamposto.

Anche la portata della pulizia etnica, il vero obiettivo dei coloni, è senza precedenti: il 24 ottobre su Haaretz la giornalista Hagar Shefaz ha ricordato che nel corso della guerra a Gaza gli abitanti di ottanta villaggi palestinesi in Cisgiordania sono fuggiti per paura dei coloni che si erano impadroniti dei loro territori.

Il volto della Cisgiordania sta cambiando. Trump può vantarsi di aver fermato l’annessione, ma ormai l’annessione è più radicata che mai. Dal centro di comando che l’esercito statunitense ha istituito a Kiryat Gat si può vedere Gaza, ma non si vede Kiryat Arba, l’insediamento alle porte di Hebron.

La Cisgiordania sta chiedendo a gran voce un intervento internazionale esattamente come fa la Striscia di Gaza. I soldati, siano essi statunitensi, europei, emiratini o perfino turchi, devono proteggere i suoi abitanti. Qualcuno deve salvarli dalle grinfie dell’esercito israeliano e dei coloni.

Immaginate un soldato straniero che a un posto di blocco impedisce il passaggio a coloni teppisti che stanno per commettere un pogrom. Un sogno. ◆ gim

Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.

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Questo articolo è uscito sul numero 1638 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati