Per molto tempo l’America Latina si è lamentata della mancanza di attenzione degli Stati Uniti. Le diverse amministrazioni che si sono alternate a Washington, prese dalle questioni di sicurezza (dopo gli attentati dell’11 settembre 2001) e sanitarie (la pandemia di covid) hanno sempre dato per scontato il dominio sulla regione. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, però, la situazione è cambiata.

Oggi gli statunitensi stanno rivedendo le priorità, nel tentativo di consolidare la loro sfera d’influenza, e considerano la parte occidentale del mondo come una riserva di caccia in cui premiare gli amici, esercitare pressioni doganali e militari e cercare di ridurre l’influenza della Cina.

Quest’interesse inedito è stato confermato dalle prime nomine di Trump per la diplomazia. Marco Rubio, ex senatore della Florida di origini cubane, è diventato il primo segretario di stato di origine latinoamericana nella storia del paese, mentre il suo vicesegretario Christopher Landau parla spagnolo ed è stato ambasciatore in Messico.

Questa scelta non nasce dalla volontà di piacere, ma da un desiderio di coercizione che rievoca lo spettro delle ingerenze passate. Le priorità di Washington non sono la cooperazione o il commercio, ma la lotta contro i flussi migratori verso il nord e la guerra contro i cartelli della droga, considerati ormai organizzazioni terroristiche.

È un tentativo di impoprre lo slogan America first (prima l’America) ai paesi vicini, in modo piuttosto aggressivo e velleitario, tra disprezzo per le istanze multilaterali, baratti e minacce.

“Non penso che esista una strategia specifica e coerente per l’America Latina”, spiega Michael Shifter, professore dell’università di Georgetown e specialista di politica sudamericana. “Assistiamo a una serie di iniziative e decisioni che spiegano l’approccio di Trump alla politica estera, basato sulle minacce e sulle punizioni per alcuni paesi. Il presidente mostra i muscoli degli Stati Uniti, ma siamo lontani da una strategia come quella degli anni ottanta, durante la guerra fredda e i conflitti in America Centrale, quando Washington doveva arginare il comunismo e l’influenza dell’Unione Sovietica”.

Per Trump la guerra alla droga si fa con i missili
Il presidente degli Stati Unti rivendica l’uccisione di alcuni presunti narcotrafficanti venezuelani nel mar dei Caraibi, trasformando uno slogan che non ha funzionato in una realtà perfino peggiore.
 

Fin dall’inizio il messaggio di Trump è stato chiaro. Il primo giorno alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2025, ha detto parlando del continente sudamericano: “Hanno bisogno di noi molto più di quanto noi abbiamo bisogno di loro”. In seguito ha smantellato l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid), considerata una fonte di sprechi.

Ma in Sudamerica l’Usaid alimentava il potere di influenza e seduzione degli Stati Uniti, finanziando la lotta per difendere la biodiversità in Amazzonia o quella per favorire le colture del caffè e del cacao in Perù, nel tentativo di contrastare la produzione di cocaina.

Secondo le stime del congresso statunitense, tra il 1946 e il 2022 Washington ha speso 104 miliardi di dollari (circa 89 miliardi di euro) per gli aiuti destinati all’America Latina e ai paesi dei Caraibi (in realtà più del doppio tenendo conto dell’inflazione).

Solo le persone distratte sono rimaste sorprese da questa evoluzione. Durante la sua campagna elettorale, Trump aveva già parlato di usare le forze speciali in territorio messicano per smantellare i cartelli del narcotraffico. Claudia Sheinbaum, presidente del Messico, ha risposto difendendo la sovranità del suo paese ma allo stesso tempo ha evitato di entrare in conflitto con Trump, che da allora ha usato i dazi doganali per colpire Messico e Canada.

In un gesto di buona volontà, Sheinbaum ha annunciato l’invio di migliaia di soldati per impedire ai migranti di attraversare la frontiera con gli Stati Uniti.

All’inizio di agosto Washington ha incluso i cartelli nella lista delle organizzazioni terroristiche, aprendo la strada all’uso unilaterale della forza nella regione. Il Pentagono ha imposto un incremento senza precedenti dell’attività militare in America Latina (aerea e marittima), mobilitando quasi diecimila soldati. Dall’inizio di settembre, l’esercito ha condotto almeno sette attacchi, distruggendo imbarcazioni che navigavano nel mar dei Caraibi. La Casa Bianca sostiene che trasportassero droga.

Il 18 ottobre il presidente colombiano Gustavo Petro ha accusato gli Stati Uniti di “omicidio”, dopo che un “pescatore” era stato ucciso in un’operazione condotta dagli statunitensi a metà settembre. Trump ha reagito definendo Petro “leader della droga illegale” e annunciando la sospensione di tutti gli aiuti al suo paese.

Il presidente colombiano è stato invitato a distruggere le coltivazioni da cui si produrrebbero le sostanze stupefacenti, “altrimenti gli Stati Uniti lo faranno al suo posto e non sarà un bello spettacolo”, ha dichiarato Trump. Il governo colombiano ha richiamato il suo ambasciatore a Washington.

Contro la legalità

Per quale motivo gli Stati Uniti non si sono limitati a usare la guardia costiera per intercettare le imbarcazioni sospettate di trasportare droga? “Lo abbiamo fatto per trent’anni e non è servito a niente”, ha spiegato Trump il 15 ottobre. Secondo il presidente, ogni attacco contro le barche nel mar dei Caraibi ha salvato “venticinquemila vite statunitensi”.

“Si vede benissimo. Le barche vengono colpite e si vede il fentanyl sulla superficie dell’oceano. Galleggia nei sacchi”, ha detto Trump.

Questo atteggiamento comporta una serie di problemi. Prima di tutto, l’amministrazione Trump non ha presentato la minima prova all’opinione pubblica o al congresso sul carico delle imbarcazioni e sull’identità delle persone che viaggiavano sulle barche.

In secondo luogo queste esecuzioni extragiudiziali hanno come unica base un decreto presidenziale, quindi sono esposte a ogni tipo di contestazione, anche considerando che il congresso non ha mai autorizzato il presidente a entrare in guerra.

Infine il fentanyl, la droga che sta causando migliaia di morti negli Stati Uniti, non entra quasi mai nel paese dal mare, ma viene sintetizzata soprattutto nei laboratori clandestini e poi importata via terra dal Messico.

La Casa Bianca ignora tutte queste considerazioni e ribadisce che il fine giustifica i mezzi. “È una dottrina di sicurezza focalizzata sulla droga e l’immigrazione, e Trump è disposto a usare qualsiasi strumento per portarla avanti”, sottolinea Jason Marczak, esperto del centro studi Atlantic Council.

In questo contesto il presidente ha sorpreso tutti rendendo pubblica un’iniziativa che in teoria avrebbe dovuto restare segreta: l’invio di agenti della Cia in Venezuela. È possibile che la scelta di pubblicizzare un’operazione clandestina sia legata alla volontà di condurre una sorta di guerra psicologica, ma in ogni caso all’interno di una piccola frangia dell’amministrazione statunitense resta viva la tentazione di rovesciare il regime del Venezuela.

“Rigettiamo i regimi autoritari e antidemocratici e quelli che cercano di attuare vendette politiche attraverso procedure giudiziarie”, ha dichiarato alla fine di giugno Landau davanti all’Organizzazione degli stati americani. Il riferimento alle “vendette” non mancava di ironia, alla luce degli eventi in corso negli Stati Uniti.

Premiare e punire

Anche Rubio, prima di diventare un alleato di Trump, è stato un falco neoconservatore, convinto che la missione del suo paese fosse quella di difendere i valori liberali nel mondo. Rubio si è impegnato particolarmente nelle questioni che riguardano il Venezuela – governato in modo autoritario prima da Hugo Chávez e poi da Nicolas Maduro – e Cuba, sognando una democratizzazione di entrambi i paesi.

Tuttavia questo desiderio è in contraddizione con una delle promesse fondative del movimento Make America great again (Maga), cioè la fine delle avventure militari all’estero e delle operazioni per rovesciare i regimi ostili.

Questa tensione interna all’amministrazione Trump non si manifesta apertamente, ma è visibile nelle manovre ambigue, come il rafforzamento della presenza militare al largo del Venezuela. “Quelli che vorrebbero un intervento degli Stati Uniti considerano l’attività nei Caraibi come un primo passo in quella direzione”, spiega Marczak. “Allo stesso tempo, però, l’amministrazione ha detto chiaramente che l’esercito si concentrerà sulla missione di mettere fine al traffico di droga proveniente dai Caraibi”.

L’amministrazione Trump ha l’abitudine di premiare i suoi amici e punire chi disobbedisce. Il primo a essere “coccolato” da Washington è stato il presidente del Salvador Nayib Bukele, che ha accettato di incarcerare nel suo paese 250 persone espulse dagli Stati Uniti e accusate di appartenere ai cartelli Tren de Aragua e MS-13. Ad aprile Bukele è stato ricompensato con un’accoglienza calorosa alla Casa Bianca.

Leader discusso che appare incapace di risolvere le difficoltà economiche del Salvador, oggi Bukele si permette intrusioni nel dibattito statunitense a favore del mondo Maga, parlando di un presunto “colpo di stato giudiziario” contro Trump.

Il secondo alleato del presidente statunitense è l’argentino Javier Milei, che a febbraio ha partecipato alla Conservative political action conference (Cpac), una conferenza annuale del mondo conservatore. Sul palco Milei ha consegnato una motosega a Elon Musk, all’epoca capo del dipartimento per l’efficienza del governo (Doge), per invitarlo a portare avanti i tagli della burocrazia federale.

Con l’avvicinarsi delle elezioni legislative del 26 ottobre in Argentina, la Casa Bianca ha preso una decisione straordinaria, considerando che negli Stati Uniti è in corso lo shutdown, cioè il blocco delle attività governative non essenziali: ha approvato un finanziamento da venti miliardi di dollari per sostenere il peso argentino, con la promessa di altri venti miliardi per il settore privato.

In questo modo Trump ha ricattato pubblicamente gli elettori argentini, invitandoli a consolidare il potere di Milei, da lui definito “Maga fino al midollo”: “Se Milei perderà, non saremo generosi con l’Argentina”, ha precisato Trump. Evidentemente gli aiuti finanziari non vengono condizionati all’introduzione di riforme, ma a un allineamento ideologico.

Questo metodo fazioso dovrebbe incoraggiare altri paesi del continente a diversificare i rapporti diplomatici. Nel 2024 in effetti gli scambi commerciali dell’America Latina con la Cina hanno superato i 500 miliardi. “Il distacco tra gli Stati Uniti e l’America Latina, in corso da tempo, è una tendenza che resta inalterata nonostante le azioni dell’amministrazione Trump”, spiega Shifter. “Washington potrebbe anche ottenere un certo successo a breve termine, ma sul lungo periodo non farà altro che consolidare il risentimento nei confronti degli statunitensi e rafforzare l’idea che il governo di Washington non è un alleato affidabile”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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