Luna si aggira tra le pagine di questa raccolta di racconti come uno spettro. È una figura fantasmatica che il lettore scopre attraverso un riflesso, nelle parole degli altri. Appare come una bisnonna sconosciuta, l’amante sfuggente, un’amica d’infanzia mai dimenticata, la compagnia d’università che lascia il segno. Luna è camaleontica: quando ci sembra di averla afferrata, scompare di nuovo, come un miraggio. Del resto i mari lunari non sono come verrebbe da dipingerli; sono terre piatte, fuori dall’orbita d’immaginazione dei terrestri. Allo stesso modo, Luna è inafferrabile, diversa in ogni pennellata. Che l’esordio di Marta Cristofanini sia maturo, prima ancora che per la lingua e la compattezza della narrazione, lo si intuisce dal suo modo di raccontare i corpi: dove s’inspessiscono e si assottigliano i tratti; come la vita lascia tracce visibili nelle pieghe delle espressioni; come decadono nella vecchiaia e come incedono con passi incerti durante l’adolescenza. Per quanto in alcuni passaggi risulti farraginoso il passaggio tra presente e passato, i nove racconti che compongono Selenide descrivono un io che si frammenta nelle esistenze – fugaci o più familiari – di quanti ci circondano. Un sé cubistico, la cui storia non arriva dalla memoria di Luna, ma dalle tracce che ha lasciato nelle vite delle persone che le hanno gravitato attorno. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati